Torneo degli angeli, parlano i genitori

La vigilia della sesta edizione del memorial raccontata dai familiari

Vi è un appuntamento battipagliese che, sin dall’inizio, seguiamo: il Torneo degli Angeli – quest’anno alla sua sesta edizione – si svolgerà dal 18 al 20 dicembre presso il Palazzetto dello sport Puglisi di Battipaglia. Un torneo di calcetto, organizzato dall’associazione Rex Gerardo Marzullo, per ricordare i tanti ragazzi scomparsi prematuramente nella nostra città. I genitori di Susy, Giovanni Cavaccini e la moglie, batteranno il calcio d’inizio della manifestazione. Per anni abbiamo riportato i nomi di questi ragazzi, così come abbiamo visto gli occhi di quei genitori, sempre lì presenti, che alle lacrime sembrava alternassero rabbia. Quest’anno ci siamo avvicinati ad alcuni di loro.

Quegli occhi, da subito, sono sembrati diversi: occhi di mamme e papà, affranti e forti, ma con un fondo di amore che è difficile da descrivere perché è ancor più difficile da capire come possa ancora esserci dopo simili tragedie. Gerardo, Simona e Natalino hanno tre storie completamente diverse, ma tutte vissute nel grembo della nostra città: un incidente stradale, una malattia, la criminalità. Un attimo. E l’attimo dopo è solo un dolore lunghissimo che si protrae fino a noi, qui e oggi.

Livio Marzullo è con Clara, sono i genitori di Gerardo: «Il torneo, per noi, è solo un’occasione di condividere e donare nuovamente la memoria e le storie dei nostri figli alla città». Ci vuole una mamma, Clara, per rompere quell’imbarazzo che naturalmente si crea davanti a tanta forza: «Non è una questione di commemorazione. Quella è una questione personale che affrontiamo tutti i giorni, nelle nostre case, tra gli oggetti e le abitudini che ci hanno lasciato. Abbiamo bisogno che dei nostri figli si parli, ci si ricordi, se ne pronunci il nome».

La storia di Simona scorre nelle parole di mamma Mariarosaria: «Simona ha lottato per venti anni contro la sua malattia, e noi con lei, nelle lunghe trasferte cariche di speranze verso Padova». Il papà, Salvatore Salviano, sembra una persona forte e indurita dal vissuto: «Non è così, noi non siamo forti. Noi siamo coraggiosi: ci alziamo ogni mattino, ben sapendo di affrontare una realtà che per noi non cambierà».

Antonio Migliaro, il papà di Natalino, si è seduto con noi, tenendo la mano della moglie Anna: «In fondo, questi figli con le ali che abbiamo, sono figli di questa città. Qui hanno vissuto, su queste sedie dove siamo ora hanno trascorso i loro momenti di svago».

I loro racconti sono fatti di figli e di Battipaglia, ma aspramente, quasi in coro, riportano di una città non al passo con le aspettative e le necessità dei figli di tutti e che, negli anni, sembra essere andata indietro. Un paese che si crede città. Ma non è città. E del paese ha dimenticato il senso di unione, condivisione, corresponsabilità ed educazione diffusa. Una città che, forse, neanche sa quanti figli ha perso e perché. Non credo di aver mai ascoltato amore più vero ed amaro per la propria città.

Mentre ci salutiamo, Antonio si ferma: «Sai, Carmine, dopo tanti anni, sei stato l’unico in questa città che si è interessato a noi e ai nostri ragazzi». Gli occhi, affettuosi, degli altri genitori erano lì, a confermare. Mi aggiungono: «Non guardare queste nostre storie come un battipagliese, parlane come una persona di fuori». Ci lasciamo con la promessa di vederci e parlarne di nuovo, e attraverso questi ragazzi e questi racconti, raccontare la città in un modo diverso.

7 dicembre 2018 – © Riproduzione riservata
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