Ho scritto t’amo sulla scabbia

[di Ernesto Giacomino]

Mare, sissignori. Argomento in controtendenza rispetto alla stagione, ma che magari farà capire che la civiltà di una città non si misura esattamente dai watt impegnati dalle luminarie natalizie. Ancor più se risulta di così difficile comprensione che per entrare nello spirito delle feste non basta il dono della fede, ma ci vuole pure quello del fido (bancario). Il che, metti che sei un’Amministrazione comunale col cash quotidianamente in bilico tra sopravvivenza e rianimazione, lascia poco spazio a proclami di categoria e chiacchiere da bar sport.
Mi scappa l’argomento esotico, allora, poco da farci. Innegabile, tra l’altro, che da un punto di vista climatico viviamo un fine autunno imbarazzante. Temperature sopra la media, pioggerelline tropicali, filini sporadici di vento che al massimo ti costringono a scegliere tra giubbotto di jeans e giacca leggera. Di nevicate, pure a quote non bassissime, si vedono solo quelle d’ovatta sul presepe.
In cotanta confusione ambientale, voglio dire, non è da folli approcciare alle mattinate dei week end pensando a un giro in spiaggia. C’è chi lo fa a piedi, nel jogging quotidiano; chi in bici con i figli. Chi in auto, portandosi pallone e asciugamani. Nessun problema per il mezzo di locomozione, insomma: il problema sono le intenzioni. Perché, qualunque esse siano, resteranno disattese. A meno che, è chiaro, la passeggiata marittima non nasconda velleità da free climber (e a quel punto un richiamino d’antitetanica lo consiglierebbe pure Mirabella a Pronto Elisir).
Il quadro di massima, allora. Si arriva lì, cullati dal sottofondo della risacca, nelle narici queste spruzzate di iodio che invitano all’amarcord (e a una chiusura rapida dei finestrini), e poi stop, non si può che tornare indietro. I gestori dei lidi privati hanno imparato a sbarrare con lamiere e tabelloni l’accesso alla loro porzione di spiaggia (sarà legale?); sui lati, nelle aree cosiddette “libere”, la discesa a mare è invece preclusa da ammassi di sporcizia che hanno dell’inguardabile. E alla sola idea di stendervi una stuoia o un asciugamani per beccarsi questi ultimi scampoli di sole già viene un prurito da ricovero.
Spiaggia di Battipaglia, insomma: d’inverno, più che d’estate, cinque chilometri di litorale adibiti a discarica. Autorizzata, peraltro; magari non ratificata con documenti e marche da bollo, ma indirettamente voluta da una palese inerzia dell’Amministrazione: attentissima, in città, a multare auto in sosta che occupino un palmo di strisce pedonali, assolutamente assente nei presidi delle zone più marginali, dove quest’occhio lungo della legge dovrebbe arrivare con maggiore periodicità ed efficacia. Soprattutto, poi, quando quelle zone restano per lungo tempo isolate e infrequentate. Perché d’estate no, là di regola si combatte con i quintali di rifiuti non rimossi sputati dalle mareggiate; nei mesi freddi, invece, l’immondizia non ce la regala il Tirreno ma andiamo a portarcela noi. Tranquilli, sereni, indisturbati. Ettari di sabbia ricoperti da bottiglie vuote, sacchetti di rifiuti, scarpe vecchie, siringhe, materassi bruciacchiati o ben cotti.
Fidatevi, allora: non sono le lucciole, l’ostacolo al decoro del litorale, ma ben altri insetti. Balordi scarafaggi, devastatori e insozzatori, che possono scommettere uno a mille sull’inattività stagionale di controllori e opinione pubblica.
Perché il mare d’inverno, il nostro, è il solito mare d’inferno. E la Bertè – altro che cantarlo – non sarebbe neppure riuscita a vederlo.

16 dicembre 2011 – © riproduzione riservata

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