Benvenuti al Cud

[di Ernesto Giacomino]

In principio era il mattone. S’era appena salutato l’ingresso dell’euro, le quotazioni per chi vendeva casa si raddoppiavano e triplicavano, cosicché le acquisizioni immobiliari divenivano appannaggio esclusivo di pochi imprenditori furbi arricchitisi con la conversione dei prezzi secondo il metodo “togliamo solo i tre zeri”. Bei capitali in movimento, comunque, e in mezzo quel famoso piatto ricco in cui ficcarsi. A Battipaglia cominciarono a sorgere agenzie immobiliari un po’ ovunque: negozi, garage, sgabuzzini, seminterrati. Soppalchi e ancor meno, fino alla microrobotica: alcune te le ritrovavi come sorpresine gonfiabili nelle patatine; altre, te le ficcavano a tradimento come inserti omaggio nei settimanali. Il caos: un po’ come in Africa, ogni mattina, non importava se tu fossi compratore o venditore, l’importante era alzarti e creare provvigioni.
Di uffici e nomi e franchising se ne vedevano di tutte le facce e razze, da nomi digeribili tipo “QuiCasa” a elucubrazioni simil-finanziarie alla Gordon Gekko sul genere “Real Estatment & Property Management, in abbreviato: da Peppino a mare”.
Era l’epoca, dicevo, poi non fu più. Una volta investito l’investibile, per quel meccanismo perfetto degli equilibri di mercato (che non credi potranno mai funzionare, quando sei tu a dover disegnare le curve di Keynes all’esame di macroeconomia), un bel buco al palloncino e addio alla bolla speculativa: prezzi riallineati e mangiatoia ridimensionata. Il contraccolpo, oltre a quello di dover ridisegnare il look degli agenti immobiliari orfani del cravattone, è stata l’inevitabile secca di sabbia che consegue alle mareggiate: tasche vuote, un po’ dappertutto, ed emergenza di liquidi.
Cosicché, lente ma virulente, poco a poco le insegne del terziario battipagliese sono andate cambiando, da “QuiCasa” a “QuiIncassi”, da “Euroimmobiliare” a “Euro e basta”. Il proliferare delle fatidiche finanziarie, insomma: vecchie facce, nuove ambizioni. Il passaggio da pollo da spennare a cappone da imbottire: non sacrificarti, compra tutto – fegato nuovo incluso – in dodicimila piccole, comode rate mensili. I moltiplicatori di pani e pignoramenti: a gente che non riesce a risparmiare cento euro al mese per comprare la televisore fra quattro mesi, vengono dati in ventiquattr’ore mille euro da rimborsare in dieci rate da centoventi, per un totale di due televisori, una lavatrice, un frullatore e un termometro digitale.
Non occorrono garanzie reali, qui ci si vuole bene e si accettano per pegno sorrisi e barba ben fatta, salvo l’esistenza di quei documenti lì: buste paga, un’ultima bolletta pagata di qualunque utenza e la certificazione annuale dei redditi. Con questi in mano è fatta, valgono più della carta Amex black, hai accesso a un universo esclusivo di finanziamenti ad hoc, da quello per cattivi pagatori a quello per buoni samaritani, passando per i discreti sciatori e i mediocri cantanti. A fronte di uno stipendio netto di millecinquecento euro riesci a tirarti in casa fino a un debituccio da settecento euro al mese, ne incassi quarantamila subito e ne restituisci il doppio in dieci anni. Poi, però, metti che non riesci a pagare perché hai questo vizietto infame del campare, eccoli tutti lì, i finanziari, a fare quelle facce deluse di chi proprio non se lo aspettava, non sia mai, non da te.
Fortuna che questi qui non incendiano auto e spezzano dita, allora. Anche perché, in fondo in fondo, nessuno sa esattamente di chi siano, quei soldi che ogni tanto vanno perdendo.

14 febbraio 2012 – © riproduzione riservata

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