Cheese! (Ma mica tanto)

[di Ernesto Giacomino]

Scusate, ma poi come s’è conclusa l’estenuante caccia all’uomo per il tizio che fotografava case nella campagna dietro la variante? Trovato, arrestato, percosso, processato, linciato, sì?
Pericolo pubblico numero uno, nevvero. Dice che per una settimana la Digos ha tolto dal portale le foto segnaletiche dei terroristi internazionali e ha messo quelle di questo tizio qua. Che inizialmente non si sapeva che faccia avesse, ma poi ci si è arrivati grazie alle precise, minuziose e dettagliate testimonianze di chi l’ha visto: era extracomunitario. E quindi stop, identikit finito. Non si sa la faccia, l’altezza, i capelli, gli occhi, la corporatura, com’era vestito. Però cotanti testimoni, mentre s’ammalavano di quest’amnesia totale circa i tratti somatici dell’individuo, hanno comunque avuto tempo e fegato di prendergli un documento d’identità e controllarne la cittadinanza. Altrimenti non si spiega: lo status di comunitario è un fatto politico, non un’etnia; salvo non voler avallare, con una metodologia d’informazione assolutamente dilettantistica e arruffona, l’assunto xenofobo secondo cui la “razza” fa il diritto. Rassegnatevi, intendo: ovunque, in Italia e in Europa, ci sono magrebini e subsahariani perfettamente comunitari; mentre un cittadino di Oslo, con tanto di chioma platinata, occhio turchese e denti allineati, senza uno straccio di visto campeggerebbe a vita dietro la sbarra chiusa della frontiera.
E però niente, stando ai media online che hanno fatto rimbalzare la notizia il collegamento è presto fatto: un tizio con faccia (apparentemente) non italiana? Un cellulare che riprende delle abitazioni? L’evacuazione che sarebbe avvenuta da lì a una settimana? Perfetto: s’organizzava per tempo per i furti negli appartamenti deserti. Non poteva essere, no, uno che magari fotografava altro: il cielo, il verde, un uccello. Un architetto a cui piaceva lo stile di qualche abitazione. Un burlone da social che aveva trovato una stonatura o qualcosa di ridicolo da condividere in rete. No, non poteva. Perché, hanno detto, quando gli sono andati incontro per chiedere spiegazioni lui sarebbe scappato. S’è allontanato, cioè: quindi era colpevole. Semplicemente perché ha fatto quello che probabilmente fanno in parecchi quando sono in imbarazzo per azioni non necessariamente delittuose, ma che non sanno – o vogliono – giustificare. O, molto più spesso, quando nell’interlocutore accorso a fronteggiarli scorgono un approccio non esattamente amichevole. Io stesso, per dire, interrogato con troppa spocchia da un vecchietto mentre me ne andavo fotografando marciapiedi scassati in un rione battipagliese, preferii rimettermi in macchina e abbandonare il campo prima della rissa. Chissà che da allora non stiano cercando anche me.
Il totale poi fa un po’ quello che successe anni fa, quando ci andammo a mettere in mostra da Belpietro a Rete 4, ululando in gruppo circa deplorevoli delitti perpetrati ogni giorno dai nostri immigrati locali quali lo stare in troppi in una baracca pericolante o il rientro con la bici dopo quattordici ore di lavoro.
Quindi niente, mettetevi l’anima in pace: non c’è nessuna polizia che ricerca nessuno, perché in Italia fotografare all’aperto non è reato. Attenzione, però: il procurato allarme, invece, sì.

13 settembre 2019 – © Riproduzione riservata

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