Attraverso la porta | di Ornella Cauteruccio
Avrà avuto circa dieci anni, anche se dall’aspetto, nonostante fosse gracile e un po’ smunta per essere delle terre del Sud, ne dimostrava qualcheduno di più. Sarà stato per l’abbigliamento già da “signorina”: amava portare i tacchi alti, anche se le scarpe le calzavano abbondanti; oppure per quei capelli corvini, lunghi fin quasi alla cintola, sempre sciolti e spettinati dal vento, ad incorniciare perfettamente lo sguardo nocciola da ribelle, noncurante degli altri sguardi di disapprovazione della “gente”.
Quel caldo pomeriggio d’estate la sorprese scalza, vestita di un semplice abitino estivo e intenta ai suoi giochi solitari di principi, travestiti da icone pop, e principesse adoranti ai bordi del palcoscenico. Non si aspettava quelle urla laceranti che arrivarono come tuoni improvvisi a spezzare la calura e zittire il monotono canto delle cicale tra le distese dorate di grano.
Il tempo di riprendersi dallo stupore e di infilare velocemente un semplice paio di sandaletti di legno, e fu un attimo, del quale, in futuro, non ebbe memoria, per divorare quel breve tratto di strada sterrata, fino a superare la piccola curva che, da casa, le impediva la visuale. L’unica cosa di cui non perse mai memoria furono quelle grida, che continuavano ancora e ancora, senza soluzione di continuità. Si appoggiò, ansimante e sudata, a quel muretto basso sotto il pergolato, accanto al quale tante volte aveva giocato a rincorrere i gatti (a proposito… che fine avranno fatto i micetti? Non se ne vede nessuno tutt’intorno): quattro uomini robusti, accorsi dalle loro occupazioni usuali attirati dalle urla, lo stavano già trasportando in casa, accompagnati dalla moglie che continuava, imperterrita, oramai fuori dalla realtà, ad urlare e piangere disperata, mentre ripeteva all’infinito il suo nome, nella vana speranza che, sentendosi chiamare in quel modo, si potesse svegliare, aprire gli occhi, rimettersi in piedi e dirle pacatamente “Donna, cos’hai da urlare in questa maniera? Spaventerai i gatti e allarmerai i vicini. Dammi, piuttosto, un bicchiere d’acqua fresca, che questo caldo mi ha seccato la gola”.
Ma lui non si sarebbe svegliato mai più.
La bambina osservava attentamente tutta la scena, con calma apparente, a braccia conserte, senza staccarsi da quel muretto: lei sapeva che anche un solo passo sarebbe stato fatale, perché le gambe, tremolanti come tutto il resto del corpo, non l’avrebbero retta più. Non riuscì a scorgerne la testa, nascosta dal corpo possente degli uomini che lo stavano trasportando; soltanto le grandi scarpe nere, dalla suola impolverata, rimasero per un tempo indefinito come fermo-immagine a riempire la scena ormai vuota della porta spalancata, mentre dall’interno continuava ad arrivare un vocio alterato e confuso, sovrastato dalla voce stridula della vedova. Rimase immobile, la testa completamente svuotata da qualsiasi pensiero, tranne quel fermo-immagine e una strisciante preoccupazione in merito al destino dei gatti… e, quasi senza accorgersene, si ritrovò il volto inondato da un torrente di lacrime.
Soltanto quando si avvide di due donne che la osservavano poco distante, con aria compassionevole per il dolore che, suo malgrado, stava dimostrando, la bambina si riebbe all’improvviso, come svegliandosi da un brutto sogno. Allo stesso tempo, riprese stranamente anche il canto assillante dei grilli e delle cicale e qualche gatto ricominciò, timidamente, a caracollare per il cortile. Il brusio proveniente dall’interno della vecchia casa colonica andava attutendosi piano piano, come chi ha capito che i giochi sono stati fatti e adesso tocca solo riordinare. La bambina si ricordò che c’erano i suoi giochi da finire: il principe si era appena accorto della bellissima principessa e del suo sguardo adorante e l’aveva invitata a salire sul palco e cantare insieme a lui… bisognava cogliere l’occasione al volo, altrimenti sarebbe passato oltre! E poi l’indomani ci sarebbero stati i funerali e lei doveva ancora decidere cosa indossare; forse quella giacchina rosso scuro, sopra la gonna di tela leggera con il bordino di merletto bianco, e sotto le sue immancabili scarpe nuove con il tacco alto.
Si asciugò velocemente le lacrime, si soffiò il naso gocciolante, mentre il tumulto impetuoso del suo cuore andava placandosi e quando fu sicura che le gambe l’avrebbero retta nuovamente, si incamminò piano verso casa. Mentre rientrava per la strada solitaria, sentì una brezza leggera che arrivava, pietosa, a stemperare quella calura insopportabile; l’estate era ancora lunga da passare e adesso la bambina sapeva che i giorni non sarebbero più stati leggeri come lo erano stati fino a quello strano pomeriggio.
11 ottobre 2019 – © Riproduzione riservata