Un buon giorno per guarire

[di Ernesto Giacomino]

Mi meraviglio che ci si meravigli. Ho visto un bazar cinese, uno dei più grandi di Battipaglia, chiuso in un giorno feriale e in pieno orario di punta. Proprio quel negozio, che non accennava mai a tirare giù la saracinesca prima delle nove di sera, tanto che spesso i proprietari erano costretti a pregare la clientela di uscire e tornare l’indomani. Un decennio buono di sforzi e sacrifici per integrarsi, farsi accettare, fidelizzare con la comunità, per vedere tutto svanito in un pugno di giorni. Molti, per non turbare i propri figli, ormai emarginati ed evitati dai compagni di classe grazie alle “raccomandazioni” dei genitori, hanno cominciato a non farli andare più a scuola. Questo, in una città che – salvo un paio di inutili allarmi diffusi da una stampa “qualificata” sempre più pressapochista e sempre meno solida di contenuti – di casi di coronavirus non ne ha sentito nemmeno l’odore controvento.
Mi meraviglio che ci si meravigli. Un marocchino al pronto soccorso, in piena notte, pestato da estranei entratigli in casa mentre festeggiava il compleanno della fidanzata perché “davano fastidio”. Portato lì dal 118 così com’era al momento dell’aggressione, con indosso solo una maglietta e nessun giubbino, poi uscito dall’ambulatorio con vari punti di sutura in testa e sul volto. Passato dolore e spavento voleva rincasare nel suo appartamento in zona Lago, ha chiamato un taxi e si è sentito rispondere – da uno che evidentemente ne ha fiutato l’accento straniero – che no, “di notte i taxi non camminano”.
Mi meraviglio che ci si meravigli. Due signore dell’Est di mezza età, sedute al sole in piazza Martiri delle Foibe, si raccontavano qualcosa nella loro lingua. Un uomo si è avvicinato, si è messo in piedi di fronte a loro, ha provato ad ascoltare un po’ senza ovviamente capire nulla. Allora ha urlato che no, nella loro lingua non potevano parlare, che qui la lingua è l’italiano e si decidessero a impararlo, e che sì, lui aveva il diritto di capire cosa si dicessero perché noi siamo i padroni di casa e loro gli ospiti
Mi meraviglio che ci si meravigli. Perché, a prescindere da qualsiasi partito politico abbia ora preso la scena, qui da noi è sempre stato così. La signora Rosetta del primo piano sparlava per ore con la dirimpettaia di quelli del quinto, una famigliola a modo di marito, moglie e tre figli, perché arrivavano dalle campagne della provincia di Potenza, parlavano un dialetto strano e non erano usi a soffermarsi nelle scale per convenevoli e pettegolezzi. Di un tale Gino, figlio di genitori separati, nel vicolo si diceva che la madre si prostituisse solo perché aveva scelto di non tenersi nessun altro uomo accanto e manteneva i figli facendo tre mestieri diversi tra pulizie, lavori di sartoria e servite al ristorante.
Mi meraviglio che ci si meravigli. Perché no, la nostra – da sempre – non è quella paura del diverso su cui sta facendo affari la politica nazionale. È la felicità di poter pensare che in ogni ora, luogo, momento, proprio qui, nei dintorni di dove respiriamo, ci sia qualcuno che vogliamo sia messo peggio di noi e su cui possiamo infierire, moralmente e socialmente, perché sappiamo che non reagirà. 
Benvenuti a Battipaglia, insomma, dove c’è ancora tanto lavoro da fare.

22 febbraio 2020 – © Riproduzione riservata

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