La festa del papà | di Andrea Bonito

Oggi per la prima volta, da quando il 28 febbraio con un manipolo di colleghi abbiamo aperto il primo reparto dedicato alla cura delle persone affette da Covid-19 sono andato in crisi. Sarà stato per la festa del papà che non ho potuto festeggiare con mia figlia, Zoe, di tre anni, la mia vita, la mia meraviglia.
Sarà stato per le giornate interminabili di lavoro, senza mai riuscire a staccare davvero, per la tanta tensione accumulata in questi giorni.
C’è un aspetto nuovo del nostro lavoro a cui fin dall’inizio dell’epidemia io e i miei colleghi abbiamo dato molta importanza: è il momento delle telefonate con i parenti, che non possono vedere i loro cari ammalati perché in isolamento. A un orario insolito, erano le 8, mi arriva la telefonata del figlio di un paziente chiedendomi come stava suo padre. Non sono uno di quei medici che nasconde le cose. Suo padre nelle ultime 24 ore era molto peggiorato e per respirare avevamo appena dovuto prendere la decisione di attaccarlo ad una macchina. Dopo averlo sentito commosso e grato per le mie parole, per il tempo che gli stavo dedicando, prima di salutarci mi ha detto: “La prego dottore, quando lo vede può fargli gli auguri, oggi è la festa del papà”. Così ho cominciato il lento e scrupoloso rito della vestizione e sono entrato nella stanza: lui era lì, che combatteva per guadagnarsi ogni respiro, gli ho stretto forte la mano. Aveva sul comodino la foto di una bambina che avrà avuto l’età di mia figlia. Gli ho chiesto chi fosse. “È mia nipote” mi ha risposto con un filo di voce. Ho provato una, due, tre volte a fargli gli auguri ma tutte le volte, sotto gli occhiali, la maschera e la mascherina, il sovracamice, la cuffia, i guanti, il mio volto, il mio corpo tutto, si stringeva in un pianto trattenuto, che non volevo fare uscire, chissà poi perché? e così cambiavo discorso. Sono stato con lui ancora un po’, con la paura di non riuscire a recapitare il messaggio, così semplice eppure per me in quel momento così difficile da pronunciare. Sentivo la gola stingersi in un nodo. Ho iniziato a parlare di suo figlio, di come stava andando, di farsi forza, che questa era per lui come una maratona, che doveva promettermi di lottare fino all’ultimo, che io ero con lui. Poi ho preso un respiro e ce l’ho fatta. “Suo figlio mi ha detto di farle gli auguri, oggi è la festa del papà”.
Sono uscito dalla stanza, mi sono concentrato sulla procedura delicata della svestizione, sono entrato nello studio della collega che senza sosta lavora con me dal 28 febbraio e sono scoppiato a piangere accolto dalle sue braccia.

Andrea Bonito
medico infettivologo, Fondazione Poliambulanza Brescia

23 aprile 2020 – © Riproduzione riservata

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