Compagno di spola

[di Ernesto Giacomino]

Al di là delle simpatie o antipatie personali e politiche, va detto che la vera motivazione per cui la scuola qua da noi partirà tardi, o partirà frazionata, o forse, chissà, o boh, risiede nel fatto che tra l’ideazione di una cosa e la sua effettiva realizzazione c’è sempre di mezzo una fase che si chiama attuazione.
Ora, questo vocabolo pare cosa semplice, acquisita se non superata: in teoria sarebbe solo un contenitore dialettico per racchiudere tutta una serie di verbi come fare, adoperarsi, muoversi, eseguire, risolvere e roba affine. Nella realtà non è così. Nella realtà tra il pensiero e l’azione, specie se c’è di mezzo roba pubblica, passano una marea di cose così indispensabili quanto inutili. Passano i protocolli, le assegnazioni, le relazioni, i comitati di studio, i tavoli di discussione, il confronto con le parti in causa, gli ordini di esecuzione, i mandati, le autentiche, la carta da bollo, i regolamenti, il tizio in ferie o il caio in aspettativa. Tutta quella trafila marcescente, insomma che va sotto il nome di burocrazia. O peggio ancora, secondo questa ristrutturazione del lessico che va tanto di moda, “procedura”.
Nelle procedure, roba tipo ritardi, sprechi, inefficienze, ci vivono e sguazzano da sempre. Perché la frammentazione di uno scopo comune in tanti microbiettivi, in una caterva di notifiche da una mano all’altra, da una scrivania a quella di fianco, fa l’effetto del passaggio di testimone nella staffetta: non devo correre e sudare per vincere la gara, ma semplicemente per consegnare il più velocemente possibile il bastoncino a quello che c’è dopo di me. Sbarazzarmene in fretta per non essere accusato io d’essere quello che ha rallentato il tutto: che poi, alla fine, s’arrivi primi o meno, si concluda la gara o ci si ritiri, è un problema che non mi tange. Quello che realmente m’interessa è poter dire, a cuor sereno, che “io il mio l’ho fatto”.
Quindi il mio obiettivo non è quello di ficcare i ragazzi nelle aule col minor rischio possibile, ma di comprare i banchi con le rotelle: m’importa poco a cosa realmente serviranno, potranno anche usarli come carrelli al Carrefour. E se il banco non lo trovo con le rotelle ma con altro dispositivo che mi consente comunque di spostarli facilmente, non mi conviene battagliare o forzare la mano per comprarlo ma molto più attenermi all’ordine di servizio, alla carta protocollata, all’organigramma.
Questa è la vera motivazione per cui, nel pubblico, quel famoso mare che c’è tra dire e fare è sempre un oceano sconfinato. È perché, in quanto pubblico, sono sempre in una vetrina in piazza, pronto ad essere additato da oppositori e chat delle mamme: allora non mi sporgo oltre certe regole ferree, che non sono quasi mai – per la farraginosità tipica della burocrazia – al passo con l’evolversi delle situazioni. L’alternativa, insomma, è sempre tra essere strumentalizzati per aver preso un’iniziativa non dovuta o restare una parte minuscola, e quindi tranquillamente anonima e inconsistente, di una macchina amministrativa che spesso parte inadeguata già da Palazzo Chigi. Per cui: considerando gli affanni della vita in genere, lo stallo del mercato del lavoro, l’incertezza della pensione, c’è bisogno anche di dire qual è la scelta?

3 ottobre 2020 – © Riproduzione riservata

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