Incubo battipagliese
[di Ernesto Giacomino]
I fatti di Capitol Hill m’hanno talmente scosso che stanotte ho sognato che Trump era il sindaco uscente di Battipaglia. Cioè, anche qua: c’erano state le elezioni comunali e lui le aveva perse con abbondanza, a favore d’un non meglio precisato Gioele Bidenni da via Gonzaga, una nuova leva neanche tanto nuova con qualche trascorso pubblico durante il governo di uno dei duecentotredici commissari prefettizi succedutisi negli ultimi vent’anni, ma distintosi soprattutto per essere stato a lungo l’apprezzato amministratore condominiale del palazzo del Commissariato mai finito.
Nel mio sogno, Trump al solito faceva il borioso e il bulletto strizzando un occhio ai sovranisti, un altro ai razzisti, un altro ai capitalisti (eh sì, fanno tre occhi, ma nei sogni non è che stai lì a contare), e s’inerpicava su qualunque cosa a forma di palco gli capitasse davanti dichiarando che no, era impossibile, lui non aveva perso, c’erano stati i brogli. E urlava a gran voce di ricontrollare i voti: al presidente di seggio della Fasanara, agli scrutatori di Taverna, ai rappresentanti di lista di Serroni Alto, a un idraulico di Belvedere. Ma niente, pur ricontando per bene le schede, pur aggiungendoci qualche lista della spesa gettata nei dintorni, le tessere punti del discount e un tir di fac-simile dei referendum del ’74 diretti al macero, il risultato non cambiava: aveva perso.
Insurrezione, quindi. Protesta di massa. In realtà lui inizialmente aveva puntato più su una rivolta ideologica, roba attinente al vecchio scontro repubblicani contro democratici, per cui aveva pure provato a sondare un po’ gli animi: “che idee politiche hai?” “non lo so, tengo da condonare una mansarda abusiva, chi conosciamo?”, oppure: “ma sei più liberista o collettivista?” “eh, una volta, mo’ ho il colesterolo a trecento e sto a dieta”. Poi, acclarato che la battaglia non la si poteva condurre sulla contrapposizione partitica, ha fatto il tentativo affacciandosi al balcone del Municipio e tirando fuori la vecchia storia americana dei nemici pubblici numero uno e due: i neri e i cinesi.
Ma si sa, quaggiù non è l’Arkansas: l’africano viene ottimo per metterlo in fabbrica a quattr’euro l’ora e comprarci la fuoriserie coi contributi risparmiati, e il cinese è avido e strano solo quando non ha il caricatore pezzotto dello smartphone, per cui l’argomento non ha avuto molta presa. Alla fine la folla stava là là per mollarlo e andarsene; ma Trump, assalito dalla disperazione, è riuscito comunque a tirare fuori un asso dalla manica: “Se non vi ribellate vi toglieranno il croccante di Pulcinella, il calcinculo alla festa della Speranza e la recinzione per sedervi intorno alla fontana di piazza Madonnina. Ah: e vi costringeranno a conservare la mozzarella in frigo”.
E lì, allora, apriti cielo. Giusto il tempo che qualcuno chiedesse “ma anche la treccia?” e la gente impazzita, capitanata da un tizio con pelliccia e corna di bufala da latte, ha sfondato il portone di bronzo e s’è riversata per tutte le stanze del Municipio, sfasciando e razziando reperti storici di valore inestimabile. Su tutti, un solido inginocchiatoio, un raro climatizzatore funzionante (un modello a carbone del ’23), e una vecchia enciclopedia di fantascienza, intitolata “L’ultimo PUC approvato”.
16 gennaio 2021 – Riproduzione riservata