Balla coi cupi

[di Ernesto Giacomino]

Non riesco a immaginarmela rumorosa, io, la Battipaglia by night. In genere la trovo desolatamente silenziosa. Quel famoso “dormitorio” di buona parte della provincia salernitana che – in questa città o negli immediati dintorni – ha col tempo trovato lavoro e quindi preso casa, magari approfittando di un costo della vita sensibilmente più light di quello di altri comuni.

Insomma: per quanto mi consta, qua, da sempre, fatto salvo qualche bar temerario e un paio di paninoteche travestite da pub, dopo le nove di sera è una carrellata di saracinesche chiuse che nemmeno Milano a ferragosto. Il concetto di divertimento finisce coi posticipi in pay tv della serie A, la domenica sera. Al massimo, volendo proprio essere eversivi, con l’abbuffata in rosticceria prima di ritirarsi a nanna e rimuginare sull’inizio di una nuova settimana. Il sabato, poi, che altrove rappresenta l’unica occasione di rifarsi per gli addetti del settore stritolati dalla crisi, si distingue solo per un prolungamento dello “struscio” pedonale a piazza Aldo Moro rispetto ad altri giorni della settimana. Ma anche qui, venisse voglia di farti un digestivo al bancone dopo una cena particolarmente generosa, ci hai da scarrozzare parecchio.

Eppure ho sentito che recentemente sono state elevate contravvenzioni a locali notturni che “rumoreggiavano” oltre l’orario consentito. Allora mi vengono due dubbi. Sull’occasionalità e grado di ripetitività dello schiamazzo, in primis. E sull’effettivo livello d’insopportabilità dei rumori.

Che le norme vadano applicate è un fatto, e ci mancherebbe. Che non si possa trovare la maniera di socchiudere un occhio per qualche minuto su uno sforamento d’orario di un evento sporadico è un altro. Proprio per quello che dicevo in apertura: la rarità, in cotanto cemento silenzioso e sonnecchiante, dei momenti ludici, delle occasioni di aggregazione, della cultura del sorriso. Non ne va fatto un vizio, è chiaro. Ma nemmeno vanno scoraggiate le iniziative. Forse, intervenire imbracciando il manuale del perfetto sorvegliante farà la contentezza dei più sobri e perbenisti, ma per contraccolpo può togliere in partenza quell’entusiasmo di cui di certo non abbondiamo, nella nostra realtà sociale. A un solo intervento brutale, insomma, se ne possono sostituire tanti gradualmente educativi: in fondo nel settore siamo nuovi, non ci siamo avvezzi.

È un fatto di mentalità, anche. O soprattutto. La tolleranza non è regolamentata dalle ordinanze sindacali. Per cui, se la gente non vuole essere “disturbata”, risulta che abbia dogmaticamente ragione. Tutto, pare infastidire: l’insostenibile baccano come la risata appena pronunciata. E per questo paiono troppe, ancora, le corse precipitose al telefono a fa accorrere vigili, carabinieri, polizie d’ogni ramo e corpo per qualunque rumore apparentemente non omologato. Spesso, nemmeno eccessivamente fastidioso, ma immotivatamente percepito come un oltraggio a quell’inviolabilità del proprio orticello di cui la nostra comunità, a volte, sa essere maestra. Non è segno di crescita sociale, estorcere costantemente un malato lassismo dettato dalla filosofia del “quieto vivere”, semplicemente limitandosi ad abusare delle regole a proprio uso e consumo.

Dobbiamo essere una città anche in questo, forse. Comprendere che è ormai alle spalle, quella cultura rustica che ci fa essere pezzi distinti di un mosaico di tradizioni diverse. E sforzarci di capire che, a volte, si può ridere anche pensando che all’alba c’è il turno in fabbrica.

18 maggio 2012 – © riproduzione riservata

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