Medaglie al malore
[di Ernesto Giacomino]
Un artigiano di Battipaglia si toglie la vita a 62 anni: nella stessa età in cui, probabilmente – senza manovre salvabanche e decreti scannapopolo – avrebbe potuto essere tranquillamente in pensione. Nella stessa età in cui avrebbe dovuto, finalmente, godersi famiglia e riposo.
Un intarsiatore, un falegname di vecchia maestria che non solo si era guardato intorno a lungo ma aveva sporto la testa in avanti, nel futuro più immediato, e aveva capito che questa società ormai ikeizzata, innamorata del montaggio e trasporto fai-da-te, non avrebbe saputo più apprezzare i suoi servigi. Un’arte antica e rara a trovarsi; così come, sicuramente, il suo senso della dignità, più forte della mortificazione di dover chiedere dilazioni a un fornitore o lasciare un titolo impagato.
È così, di colpo, la crisi diventa vera. Alchimie della dimensione provinciale: della realtà ne percepiamo spezzoni, nessun vento ma soffi languidi sulla pelle, ce ne sfugge l’interezza fin quando non sguscia concretamente fuori da dossier e tg, da quel rettangolone ciarlante e luminoso che in genere parla sempre di altrove, di quelle metropoli così enormi e distanti che d’istinto paiono inesistenti.
Negli anni ’80 ci consideravamo immuni dalla camorra, concedevamo il beneficio del dubbio a ogni affare apparentemente torvo: racket, lottizzazioni selvagge, prostituzione. Esplosioni. Poi ci capitarono sparatorie e morti ammazzati per strada, foto pubbliche di salme coperte dai lenzuoli insanguinati in stile “Cronaca Vera”, e capimmo che così distanti non lo eravamo.
Così come non ci preoccupammo del problema droga: quella girava solo nei film e nei convegni dei sociologi, qui a un figlio barcollante – c’era da giurarlo – al massimo gli si attribuiva una birretta in più con gli amici. Fin quando non cominciammo a raccattarli senza vita da vicoli e panchine, i figli barcollanti, così da essere illuminati in un’unica botta del fatto che la droga non solo c’era ma era una farcitura ingovernabile nell’apparente normalità della gioventù locale.
E succede oggi con la crisi, arriviamo sempre come fumo dopo lo sparo, alla notizia di un artigiano di Battipaglia che si toglie la vita per mancanza di lavoro allarghiamo la boccuccia meravigliata come a dire: “ma, allora… la crisi, la recessione… era tutto vero?”. Un po’ come aver visto in strada il cattivo di una favola, dopo essere stati una vita con la certezza che non esistesse. Così distanti dall’epicentro dei fattacci ci passava tutto per fisiologico, nell’uscircene da un mercato a portafoglio vuoto esibivamo quel sorriso malandato dell’Eduardo di Napoli Milionaria: “Ha da passa’ ‘a nuttata”, ci si diceva, più speranzosi che rassegnati. Non ci aveva allarmato, finora, che un pieno di benzina costasse quasi due giorni di salario di un operaio; non ci avevano insospettito le code in parrocchia, alla distribuzione degli aiuti alimentari UE. Non ci avevano scalfito gli aumenti di sfratti, protesti, distacchi di luce e gas, cartelle Equitalia, finanziarie ricche e finanziati poveri.
Deve pensarci una tragedia, a riportarci alla realtà, a distoglierci dal lavaggio del suv preso a rate o dal rinnovo dell’abbonamento alla pay-tv strappato con gli anticipi sulla tredicesima; una realtà che credevamo così assurdamente lontana e di colpo così vicina, tangente, soffocante. Ci prende al bavero, ci dice: sta finendo, contieniti, misurati, organizzati. C’è chi al posto tuo avrebbe saputo farlo, dice. Solo che, a lui, non gli è stato consentito scegliere.
29 giugno 2012 – © riproduzione riservata