Convivio d’estate | di Assunta Giordano
Eleonora e Beatrice erano arrivate solo ieri in questo agriturismo e, benché fosse incastonato tra i rilievi e distante dalle spiagge, si sentivano soddisfatte. Il primo impatto non era stato granché rassicurante: il proprietario era giunto in stazione con una vecchia jeep cigolante e, incurante dei loro volti allarmati, le aveva accolte festosamente, complice forse la Peroni ghiacciata che brandiva in una mano e ondeggiava pericolosamente nell’accompagnare il suo parlare senza sosta, trasudando goccioline che finivano sulle loro gambe scoperte. Ma appresero la sua storia e, in nome del suo ultimo tormentato grande amore, finirono per perdonargli anche questa smodata passione per la birra Peroni, che lui amava definire affettuosamente “peronismo”. Luca, così si chiamava questo folletto dinoccolato e barbuto, avrebbe potuto avere qualunque età ricompresa tra i venticinque e i quarantacinque anni ed essere di qualsivoglia luogo e, in effetti, anche la parte della storia riguardante le sue origini appariva confusa. Si era prodigato ad accompagnarle al mare e, in generale, a non far mancare loro nulla, sicché si sentivano quasi ospiti di un loro cugino.
Quel pomeriggio Luca aveva annunciato che ci sarebbe stata una grigliata con tutti gli ospiti, alla quale non potevano assolutamente mancare. Le due donne, un po’ preoccupate per il rispetto delle misure anti Covid, erano dubbiose ma non poterono rifiutare senza offenderlo. Giunta la sera, Luca iniziò con il loro aiuto a preparare i tavoli, accendere il barbecue e illuminare il giardino con le fiaccole. La luce era soffusa e la temperatura mite nonostante le montagne che vegliavano intorno a loro, dormienti come giganti. Pian piano giunsero gli ospiti, ciascuno portava cibo o vino ma, anzitutto, un sorriso aperto e sereno. Le presentazioni furono veloci, i gomiti appena sfiorati in questo nuovo forzato rituale di saluto e i nomi un po’ urlati nella confusione e, come spesso accade, subito dimenticati. Come una brigata di cucina ben collaudata, ciascuno fece la sua parte, con allegria e giovialità. I commensali presero posto e, moderni personaggi del Decameron sfuggiti a questa nuova peste, cominciarono a raccontarsi, senza orpelli, titoli o altri filtri. Nessuno sgomitava per prendere la parola o decantare ciò che fosse o sapesse. Nessuno guardava l’altro con alterigia o sospetto. Nessuna lotta per la supremazia quotidiana, quella che si combatte ogni giorno, dalla fila in caffetteria al mattino allo sgommare dinanzi al semaforo giallo a fine giornata. Regnava un muto senso di fratellanza, quella che, superando le differenze, sa gioirne senza giudicare. La convivialità e l’atmosfera sospesa nel tempo e nello spazio li cullò per tutta la sera in una bolla, impermeabile rispetto all’esterno e, nel contempo, pregna della fragilità di ciascuno, che nessuno cercava di dissimulare.
Uno di essi, che pure si era contraddistinto per il suo dissacrante umorismo, di punto in bianco disse, forse pensando ad alta voce: “Prendiamoci cura l’uno dell’altro”. La donna seduta al suo fianco, mai vista prima, lo guardò con occhi più grandi e gli cinse le spalle con il braccio, ripetendo al suo vicino la stessa frase. La frase presto fece il giro della tavolata e tutti si ritrovarono più consci dell’unicità della serata. Non scorsero fiumi di vino, le bottiglie erano appena bastevoli per quel gruppo di persone adulte e abituate a reggere un po’ di alcool. I dialetti e le lingue straniere si mescolarono senza ostacolare la comunicazione, il linguaggio delle anime è universale. Gli argomenti trattati spaziarono dalla storia personale ad aneddoti divertenti, dall’attualità a storie antiche. Uno dei commensali, menestrello dei nostri tempi, utilizzò lo smartphone per diffondere della musica, qualcuno iniziò a cantare. Tutti i sensi erano stati risvegliati: si sentiva il profumo dell’erba già umida della rugiada notturna, si gustavano sapori dell’infanzia e si percepivano suoni distanti, mentre le dita percorrevano oggetti e braccia come se li riconoscessero per la prima volta. La luna crescente distribuiva la luce dove le fiaccole esauste avevano lasciato il buio e, lentamente, i commensali iniziarono, con anticipata nostalgia, a lasciare la tavola: nessuno di essi poteva tacere a se stesso di essere stato partecipe, per una sera, della grandezza dell’uomo quando si spoglia dell’armatura. Non ci furono i consueti scambi di numeri e indirizzi, tutti sapevano che quel convivio non avrebbe avuto una replica degna dell’originale.
Eleonora si svegliò, infastidita dal getto dell’aria condizionata che le sferzava la schiena. Aprì gli occhi nel letto king size e non riconobbe la spoglia camera dell’agriturismo di Luca. Concluse allora, non senza rammarico, di aver solo sognato la serata perfetta. Il trillo dello smartphone la avvisò di aver ricevuto un messaggio, era di Beatrice e conteneva una foto che ritraeva fiaccole e volti ridenti intorno ad una tavola. Allora si riaddormentò, felice.
14 ottobre 2021 – © riproduzione riservata