Notte | di Armando Guarino
La città a quest’ora sembra chiudersi in se stessa mentre invece si apre ai suoi visitatori notturni, a quelli del secondo turno, agli improvvisati, ai diseredati, agli apolidi, a coloro che non hanno cittadinanza oraria, che non appartengono a nessun luogo e a nessun tempo. Io sono tra questi. Quale, non saprei, ma mi ritrovo sbattuto tra i giochi di ombre e luci artificiali che altri conoscono meglio di me, giocando con loro a chi è più forte.
Vago, senza meta, ma col passo certo. Cerco di ritrovarmi tra i suoni distinti, a volte soffusi, altri prepotenti della notte.
La città a quest’ora sembra chiudere le sue porte. Non per me. Non per stanotte almeno. È mezzanotte. L’ora dei fantasmi o degli zombie. L’ora in cui i cattivi prendono il sopravvento. Forse perché è il momento in cui chiunque può morire, se a morire per prima è il giorno stesso. Ma è anche l’esatto istante in cui ne nasce un altro, dove la speranza incomincia e anche una luce fioca può rappresentare la tua ancora di salvezza. Mezzanotte. L’ora in cui il buio ti avvolge. A volte ti ripara, altre spaventa. L’ora in cui la solitudine può essere un premio o una minaccia. Smetto di chiedermi quale mezzanotte sarebbe stata questa per me e m’incammino. Non è la prima mezzanotte che attraverso e non sarà l’ultima. Non è il richiamo della notte.
Non è il rumore delle bottiglie vuote. Non il suono delle sirene che viaggiano tra i vicoli scuri. Non è il buio, con la sua coperta, né la luce dei lampioni con le sue rivelazioni. Non il latrato dei cani in cerca di compagnia e neanche l’eco che nasconde con i suoi inganni l’origine dei rumori di sottofondo.
Mi ritrovo per strada con un mozzicone tra le dita e addosso l’odore di solitudine a chiedermi cosa mi abbia spinto qua fuori. Non è il richiamo della notte. Lo so. Forse è il richiamo dell’anima. Ora piove. Piove sulle mie spalle coperte da una giacca rimediata all’ultimo momento. Non mi ha preso di sorpresa. È solo che odio la pioggia, la odio tanto da negare che esista.
Una goccia incomincia a farsi spazio tra i capelli e scivola sul viso. E poi un’altra e un’altra ancora. Le respingo con le dita e continuo a camminare.
Nessun altro rumore. Sono solo anche a quest’ora. Qualche tuono in lontananza mi fa compagnia e mi spiega che mi sbaglio, la pioggia esiste e odiarla non la fa scomparire. Così come le tante persone che attraversano la mia strada. Così come ogni ostacolo mi si frappone davanti. Ma non mi fermo.
E continuo a farmi scivolare tutto. Compreso quella che voi chiamate pioggia.
Non è tardi. Non per me. Mentre cammino un pianoforte in lontananza sembra abbia deciso di farmi compagnia. O forse cerca la mia. Anche se le persiane si chiudono, le luci all’interno delle case si spengono, mettendo in stand by le loro vite. Non è tardi. I semafori lampeggiano, stanchi anche loro. Si alza il vento e mi costringe a stringere gli occhi.
Ma non è tardi. Almeno fino a quando avrò una strada aperta innanzi a me.
30 ottobre 2021 – © riproduzione riervata