Uno su mille ce la fa
[di Antonio Abate]
Fino al prossimo 13 aprile, migliaia di docenti stanno partecipando al concorso ordinario per l’ingresso di ruolo nella scuola secondaria. Una prova concorsuale attesa da oltre dieci anni. Questo concorso si è presentato, dunque, in una veste degna della migliore commedia beckettiana in cui, però, i poveri docenti, nei panni di sventurati Vladimir ed Estragon, hanno atteso un Godot che alla fine è arrivato davvero.
Preso dall’entusiasmo, anche io mi sono iscritto per concorrere nella regione Lombardia, pensando di dovere al massimo sobbarcarmi un viaggio fino a Milano, pernottare e poi svolgere la prova. Facile? Non proprio.
A causa del covid e costretto a bandire questo concorso, pena linciaggi di piazza in stile rivolta dei Gracchi, il Miur ha deciso di calendarizzare la prova concorsuale nel bel mezzo dell’anno scolastico. Una scelta che ha costretto gli USR (Uffici Scolastici Regionali) a una suddivisione che ha sparso i docenti, a gruppi di cinque, in varie città del Bel Paese. Nel mio caso, per esempio, sono finito a Bedizzole (Brescia) e a Bariano, in provincia di Bergamo.
Il concorso è suddiviso in due prove: il quiz scritto e l’esame orale. A cui devono essere aggiunti il salto nel fuoco e la sopravvivenza ai prossimi Hunger Games. In realtà, la prima vera prova per molti di noi è stata quella di organizzare il viaggio e capire come arrivare sani e salvi a destinazione.
Veniamo al “quizzone”: cinquanta domande in cento minuti, con l’obbligo di rispondere correttamente ad almeno 35 per passare alla prova successiva. Nella mia classe di concorso sono state proposte domande su fenomeni geografici così recenti che ancora non si è capito chi sia stato il primo a parlarne. Secondo le prime stime, pare che solo il 10% di noi abbia passato i quiz: dati impietosi che confermano una scelta che premia eccessivamente il nozionismo.
Il rischio di avere più posti vacanti che docenti è concreto, e questo non può che alimentare la consueta “corsa al massacro” di docenti costretti ad accettare anche incarichi di poche settimane per restare in corsa. Il danno maggiore lo avranno gli studenti che difficilmente completeranno il ciclo di studi, biennale, triennale o quinquennale che sia, con lo stesso docente. Si potrebbe obiettare che il tempo per studiare c’era; ma percentuali così basse non possono essere più giustificate dalla mancata preparazione di migliaia di docenti che, magari, lavorano precariamente da anni, ottenendo altissime percentuali di gradimento da parte degli studenti.