Stessa pioggia, stesso mare

[di Ernesto Giacomino]

Essendo benpensante per tara genetica, immagino che bloccare via Mazzini per una decina di giorni allo scopo d’infilare dei mattoncini rossi sotto le strisce pedonali tra via Italia e piazza Amendola soggiacesse a dei precisi vincoli di viabilità, sicurezza, visibilità e via cantando.

Lavori obbligatori e urgentissimi, voglio dire. Così non fosse, non se ne spiegherebbe il senso. Così come nella medesima aura d’inspiegabilità rientrerebbe l’aver (definitivamente?) ridotto quei passaggi pedonali da due a uno, perché se è vero che gli attraversatori sono potenzialmente gli stessi lo è altrettanto il fatto che – ammassati su un solo varco – l’effetto futuro sarà quello di carovane interminabili di gambe in movimento messe a spezzare in due l’intera città. Perché i vecchi tre-quattro metri di distanza tra un passaggio e l’altro sommavano comunque una macchina che avanzava al minimo sindacale; e sarà tutt’altra cosa, all’ora di punta, rimanerci in coda a tempo indeterminato.

Delle due l’una, insomma: o ci si affretta a smorzarlo, il traffico, da quelle parti, sancendo il lancio definitivo della zona a traffico limitato; oppure, nel frattempo, si fa in modo che proprio lì, dove c’è l’afflusso più denso di passanti, la viabilità scorra così velocemente che le macchine non debbano ammassarvisi per nulla. Fidatevi che alla lunga quelle decine di motori, fermi e in moto, sul fatto di spalmare in aria particelle tossiche se la contenderanno con la nube di Seveso.

Intanto, comunque, per una Battipaglia che si rifà il trucco ce n’è un’altra che continua a regredire a livello Burundi (con tutto il rispetto per lo stato africano, sia chiaro). Se da un lato c’è chi può fare gridolini di meraviglia per le opere di riabbellimento urbano al centro, dall’altro tocca scontrarsi con una realtà rionale sempre più grottesca e ai limiti della sopportazione umana.

Il forfait delle fogne in zona Sant’Anna ha ormai raggiunto livelli di criticità che sfiorano l’incredibile. A ogni scroscio di pioggia che superi i dieci minuti di durata si assiste a una psicosi da alluvione degna dei migliori documentari da Istituto Luce: proprietari d’auto che sgomberano i garage, case al pianoterra piantonate da sacchi di sabbia, negozi venditutto che fanno affari d’oro con impermeabili e stivali a coscia. Non manca chi evacua del tutto, si piazza l’indispensabile nelle buste di nylon e corre a rifugiarsi da figli o nipoti ai piani alti, o in zone della città meteorologicamente più tranquille. Ci manca solo che a qualche costruttore più ardito non venga in mente d’impiantare degli eliporti d’emergenza sui tetti delle case. La versione postmoderna del traversamento dell’Acheronte: solo che il dazio, anziché con una moneta, lo paghi con l’ipoteca.

Battipaglia, insomma: provincia di Manila. I fatti delle scorse settimane lo hanno detto e confermato, poco da farci. C’è un sistema fognario in tilt, e poca chiarezza per i residenti su cause e rimedi. Pareva che l’allagamento del weekend nero di metà ottobre dovesse classificarsi tra gli eventi storici ed eccezionali, e invece una settimana dopo si è perfettamente ripetuto. Con minori conseguenze, ma solo perché la fatidica quiete dopo la tempesta è tornata relativamente presto.

E il sospetto, alla fine, è che sotto quei bei mattoncini rosso siena frescamente piazzati sotto i piedi dei passeggiatori del centro ci siano – oltre alla misteriosa e minacciosa incontinenza delle fogne – soldi pubblici che avrebbero potuto essere (ben) spesi altrove.

9 novembre 2012 – © riproduzione riservata

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