Una strana sordità | di Fausto Bolinesi
Madre e figlia erano due brave persone con una caratteristica in comune: il volume della loro voce sempre alto. Quando si confessavano, oltre al prete nel confessionale, mettevano al corrente dei loro peccati tutti i fedeli presenti in chiesa. Così come i loro problemi di salute, oltre al medico, li comunicavano anche ai pazienti in sala d’attesa. La madre, settantacinquenne, vedova da oltre venti anni, abitava con la figlia e il genero, Germano, il quale stava sperimentando sui propri timpani cosa significasse vivere accanto a due produttrici di decibel, e si chiedeva come avesse fatto il defunto suocero a resistere.
Per ironia della sorte, mentre la figlia lavorava come operaia in una azienda agricola distante una ventina di chilometri, il genero gestiva un negozio di alimentari comunicante con l’abitazione e quindi stava a contatto dalla mattina alla sera con la suocera. Questa un giorno si rese conto che lo vedeva muovere le labbra, ma non udiva la sua voce. Lui mi raccontò che quando lei glielo aveva riferito, in un primo momento non le aveva creduto, poi però si era preoccupato: la suocera sembrava effettivamente diventata sorda. Ma una sordità strana, intermittente: insorgeva all’improvviso e altrettanto improvvisamente cessava. Poteva durare qualche minuto o alcune ore, ma mai l’intera giornata. Dopo una settimana erano venuti da me, tutti e tre, per espormi il problema. Per la verità ero restato alquanto perplesso nell’ascoltare la storia della paziente perché sapevo di una ipoacusia fluttuante, ma non di una sordità con le caratteristiche che mi venivano descritte. Prescrissi una visita otorinolaringoiatrica e un esame audiometrico che risultò praticamente normale, tanto che lo specialista richiese, a completamento della indagine, una risonanza magnetica dell’encefalo con mezzo di contrasto. Questo comportava la preventiva esecuzione di un elettrocardiogramma e di analisi del sangue. La notizia fu accolta da Germano con un certo disappunto perché mi fece capire che toccava a lui accompagnare la suocera in giro fra ospedali e ambulatori. Mi chiese anche, visto che lei già soffriva di ipertensione e di artrosi alle ginocchia, se si poteva fare la domanda di accompagnamento ora che era diventata anche sorda. Gli feci notare che la commissione medica non avrebbe riconosciuto neppure l’invalidità del 100% perché, stando all’esame audiometrico, l’udito della suocera era normale. Anche il referto della risonanza magnetica, che la figlia mi portò in visione dopo circa venti giorni non rivelò niente di grave. «Ma vostra madre come sta? – chiesi – Si presentano sempre questi episodi improvvisi di sordità?».
«È sempre come prima, se non peggio. Per la verità è Germano che sta a contatto con lei tutto il giorno e s’innervosisce perché dice che fa la sorda quando le fa comodo. E poi capita sempre con lui. In effetti, a pensarci bene, con me non è mai capitato».
Di questo non mi meravigliavo perché, come detto, mamma e figlia parlavano con un volume della voce talmente alto che le avrebbe sentite anche chi fosse nato senza le orecchie. Confessai alla figlia che avevo ipotizzato una sordità simulata, ma il referto dell’esame audiometrico normale mi portava ad escluderla anche perché in genere chi simula cerca di alterare il risultato e di solito l’esaminatore se ne accorge. Prendeva quindi forza l’ipotesi di una sordità isterica, o comunque causata da turbe psichiche, pertanto consigliai una consulenza psichiatrica. «Aeeh! Ora chi lo dice a mio marito?». Fu la reazione della figlia alla mia proposta. In effetti il giorno successivo il genero mi telefonò chiedendomi se fosse veramente necessaria quella visita, visto che lui non aveva tempo di accompagnarla. «Se volete avere qualche speranza che a vostra suocera venga riconosciuta l’indennità di accompagnamento, deve risultare o sorda o pazza». Risposi cercando di nascondere nel tono scherzoso la mia irritazione per questa sua resistenza ad approfondire le indagini.
Lo psichiatra, dopo aver esaminato la risonanza magnetica e aver sottoposto la paziente a un lungo colloquio, non rilevò alcuna causa psichica di quella sordità e consigliò una consulenza geriatrica. Quando il genero seppe della nuova richiesta di visita specialistica riuscì a contenersi a stento, ma dentro di sé ribolliva di rabbia. E tutti i torti questa volta non potevo darglieli, anche perché secondo me il geriatra era stato chiamato in causa dallo psichiatra al solo scopo di rifilare ad altri questa che era diventata una vera e propria rogna. Per convincere il riluttante genero della necessità di quest’altra consulenza, feci capire che spesso il parere del geriatra si rivelava determinante per indurre la commissione invalidi civili a riconoscere la cosiddetta invalidità con la indennità di accompagnamento. Quindici giorni dopo, quando tornò nello studio agitando il referto del geriatra era letteralmente inferocito. «Dottore basta! Non è possibile: sono due mesi che vado in giro ad accompagnare mia suocera senza risolvere niente!». Diedi un’occhiata al foglio stropicciato del referto che aveva lanciato sulla scrivania. Il geriatra suggeriva di sottoporre la paziente ad un particolare esame audiometrico che comportava l’applicazione di cuffie ed elettrodi al lobo dell’orecchio e alla fronte. «Io capisco…». Volevo dire che capivo il suo stato d’animo, ma Germano non mi fece continuare, era un fiume in piena.
«No dottore, voi non potete capire. Mia suocera è stata sballottata da uno specialista all’altro, ha fatto raggi, contro raggi, analisi, visite e accertamenti per sapere se era sorda o pazza e alla fine viene fuori che non ha niente. Tutto inutile, tutta fatica sprecata. È proprio vero che in Italia vanno avanti solo i raccomandati!».
«Adesso non esageriamo, non è sempre facile né semplice trovare la causa di un sintomo o di una malattia – tentai timidamente di interromperlo – e poi, cosa c’entrano le raccomandazioni? E soprattutto, di quale fatica parlate? In fondo avete solo accompagnato vostra suocera a fare delle visite».
«Quale fatica? Quale fatica mi chiedete? Vorrei vedere voi ricordarvi ogni volta di muovere le labbra e fare finta di parlare!».
Tratto dal libro Polli, pazienti e cittadini, di Fausto Bolinesi, per gentile concessione dell’editore Edup
30 luglio 2022 – © riproduzione riservata