Crash-back
[di Ernesto Giacomino]
Dove vivo io il tramestio del tamponamento d’auto è da tempo diventato rumore ciclico e familiare, tipo le campane della parrocchia o il “flex” del fabbro sotto casa. Un conoscente, insomma: un dirimpettaio, un vicino. Uno del quartiere.
L’altra sera, per dire, ho dovuto parcheggiare un isolato prima per via della strada chiusa al traffico: addirittura due volanti dei vigili messe perpendicolari, all’americana, a fare rilievi e raccogliere testimonianze. Perché, al solito, bum: un incrocio al buio, uno stop non visto, una precedenza non data; spesso, una velocità idiotamente ben oltre il limite. Totale: due macchine danneggiate, un ferito (per fortuna lieve), traffico locale in tilt, tanta paura.
Da me, dicevo, è un fatto di routine: sempre lo stesso incrocio, tra via Como e via Guicciardini, la media mostruosa d’un incidente a settimana e, quotidianamente, almeno una frenata in extremis con sgommata finale e mandate reciproche al diavolo dei due conducenti. Una quasi-botta al giorno, insomma, toglie la serenità di torno.
Che c’è che non va, in quell’incrocio? Semplicemente, per qualche motivo indefinito la precedenza “percepita” dagli automobilisti è esattamente all’opposto di ciò che dicono i segnali stradali. Lì, come un po’ in tutti gli altri crocevia nelle vicinanze. Imprudenti o distratti i guidatori, dunque, o inappropriati i cartelli? Boh, non è dato saperlo, né si vuole insegnare niente a nessuno. Ma almeno, cominciare a sedersi a un tavolo e prendere atto del problema già sarebbe un dovuto passo avanti. Nell’immediato, per dire, qualche dosso dissuasore di velocità non spiacerebbe. E magari andrebbe provato anche il doppio “stop” (su entrambi i lati della strada, a prova di intoppi di visibilità), che pare un esperimento già riuscito in altri comuni. Muoversi prima del peggio, insomma: ancor più quando la cronaca locale, proprio in quella zona, ha recentemente annotato una tragedia dalle cause dolorosamente analoghe.
Il discorso della viabilità nei rioni battipagliesi, insomma, rappresenta materia antica e lunga da dipanarsi, tanto che un qualunque candidato al Consiglio ci potrebbe impiantare, già solo su quest’argomento, l’intera campagna elettorale. Sei al centro, per dire, il tratto di via Domodossola da via del Centenario a piazza Di Vittorio è più largo della Route 66 in Oklahoma, eppure è a senso unico. Ti sposti in zona Sant’Anna, invece, viottoli poco più larghi di tratturi asfaltati, auto parcheggiate alla carlona su entrambi i lati, e no, macché: doppio senso di circolazione.
Se i giusti interventi di rallentamento obbligato, come a via Gonzaga o viale della Libertà, sono riusciti in uno schioccare di dita a limitare di parecchio i sinistri in quelle zone, non si capisce come un’attenzione analoga non la si presti ai problemi dei rioni. Dove le macchine, sia chiaro, sfrecciano a velocità uguale se non maggiore di quanto facciano sulle strade principali.
E mi verrebbe pure da parlare di telecamere e autovelox: non fosse, però, che la videosorveglianza a Battipaglia è un argomento tabù e l’ultimo che l’ha nominato s’è beccato una maledizione tipo tomba egizia profanata. E ancora oggi, nelle notti di luna piena, pare gli compaia lo spettro di sabbia del faraone infuriato.
1 ottobre 2022 – © riproduzione riservata