Illegittima difesa
[di Ernesto Giacomino]
E beh, autoaguriamoci anche questo, hai visto mai ci accusassero pure di scarsa empatia tra cittadini. Ché qua da noi la pacatezza è notoriamente un prodotto tipico, da esportazione, secondo solo alla mozzarella e ai commissari prefettizi.
I manifestini contro chi deposita immondizia fuori mano, voglio dire. Li avrete visti, sbucano ogni tanto nei quartieri periferici, specie quelli che ancora accolgono qualche abbozzo di campagna: zona industriale, Serroni Alto, via Spineta e tratti simili. Tra un cartellone d’una svendita e un segnale stradale, paf, ogni tanto ci trovi azzeccati foglioni bianchi stampati al pc, caratteri cubitali, autostrade di punti esclamativi, anatemi tiepidissimi invocanti morti atroci o svolgimento di mestieri ad alto contatto fisico per sorelle e madri dei delittuosi sversatori abusivi. L’ultimo che m’è capitato davanti, per dire, augurava tumori come regalando l’album Panini davanti alle De Amicis nel ‘76.
Una sproporzione aberrante, insomma, tra azione e reazione, che solo menti malate come certi aizzatori politici capitati per grazia a Montecitorio possono ritenere congrua. Chi butta spazzatura per strada è un incivile che va educato, e se quella spazzatura è pericolosa è un imbecille che va punito, e se è tossica è un criminale che va arrestato. Punto, stop, finisce così. Se, per contropartita, qualunque sia il danno, ci si sente autorizzati a desiderarne malattia, morte, sofferenze, non si è né cittadini modello né ecologisti: si è, semplicemente, persone orribili. Fatte di una pasta che socialmente è di pari – se non maggiore – pericolosità: quel miscuglio malefico d’egoismo, strafottenza e strenua difesa del proprio orticello che s’arroga la pretesa d’apparecchiare una scala di priorità tra un suo ipotetico rischio e il diritto alla vita degli altri.
Dice: eh sì, ma la paura, sai com’è, se ne sentono tante. Appunto: se ne sentono. Ovunque. Perché ovunque se ne parla: e, tre quarti delle volte, senza cognizione di causa. Zi’ Peppino che mentre cala l’asso a briscola dice che il cognato del nipote del genero d’un cugino ha trovato una solfatara abusiva alla stazione, nonna Mena che mentre sferruzza a maglia con le amiche parla d’un cane nato con tre teste, due code e le labbra siliconate perché la mamma ha annusato una busta nelle scale del sottopassaggio. In un’ipotetica classifica dell’approssimazione comunicativa ci stiamo caparbiamente avviando verso le zone alte del podio come comunità che consente a tutti, ma proprio a tutti, di avere seguito e influenza mediatica su argomenti complessi di cui, sempre più spesso, non possiede alcuna nozione di base.
Perché qua da noi si pesca nel torbido, ovviamente. Insufficiente la comunicazione istituzionale, concesse col contagocce le occasioni di divulgazione degli esperti, estremamente tollerante la linea di prevenzione contro il proliferare di notizie false o di fonte incerta. Favorendo questo, alla fine: il consenso verso gente che – per opportunismo o semplici manie di grandezza – nell’allarmismo ci sguazza. E, per contro, vanificando il lavoro serio e competente di tutti quei professionisti, organismi e associazioni che da anni si impegnano a sapere i fatti e dirci la verità.
22 aprile 2023 – © riproduzione riservata