La sindrome dell’impostore

[di Anna Cappuccio – psicologa*]

La sindrome dell’impostore si riferisce alla percezione di non essere degni e meritevoli dei risultati raggiunti. Queste persone pensano di non avere conoscenze e capacità tali da giustificare i traguardi ottenuti e per questo ne attribuiscono il merito a fattori esterni. Sono accompagnati costantemente dalla sensazione di essere imbroglioni e vivono nella paura di essere smascherati e che gli altri si accorgano di come sono realmente. In questo sentire interiore, ogni successo e riconoscimento viene sminuito e non riconosciuto come proprio e appartenente al proprio impegno. Nulla sembra essere sufficiente per poter dimostrare a se stessi che, in realtà, sono capaci e competenti e di conseguenza degni e meritevoli dei risultati positivi realizzati. Questa particolare situazione interiore viene alimentata e mantenuta da distorsioni percettive che portano a minimizzare le proprie capacità e impediscono di interiorizzare le mete raggiunte. Tale distorsione percettiva trova le sue radici in un’organizzazione interiore caratterizzata da una bassa autostima e da un’autoimmagine personale, sociale e professionale fortemente deficitaria. Ogni impegno lavorativo, ogni esame, ogni prova viene vissuta con un notevole carico di angoscia per la paura di fallire e di essere smascherati. Si cerca, così, di raggiungere obiettivi sempre più elevati non per un interesse autentico, ma per evitare di essere smascherati nella propria inadeguatezza. Questo impedisce di provare soddisfazione per i risultati ottenuti e, nel tempo, determina una tendenza al perfezionismo e ad atteggiamenti di meticolosità e attenzione ossessiva. Nei casi in cui non si riesce ad ottenere i risultati prefissati, gli errori vengono amplificati ed emerge un’autocritica feroce e, a tratti, autodistruttiva. La paura di essere smascherato, inoltre, innesta la paura costante del giudizio e del confronto e per tale motivo diventano frequenti i meccanismi di evitamento delle situazioni sociali e delle sfide lavorative.

La paura del fallimento e del giudizio stimola una notevole frustrazione e nel tempo attiva vissuti disforici di tipo ansioso che spesso assumono le caratteristiche di un pensiero rimuginativo, ripetitivo, bloccato sugli sbagli che si sono commessi e su quelli che si potrebbero fare.  L’avvicinamento a situazioni di confronto sia relazionali che lavorative possono attivare vissuti angosciosi anche molto intensi. Nel tempo si può strutturare un vero e proprio vissuto depressivo e un tipo di vita al di sotto delle effettive capacità personali. 

Riconoscere che la voce interiore che giudica e svaluta non è la realtà rappresenta il primo passo verso il cambiamento. Chiedere aiuto, infatti, può permettere di individuare e riformulare i pensieri irrazionali e le credenze disfunzionali. Ma soprattutto, può stimolare la costruzione di una maggiore autostima e di un’immagine di sé più competente per poter costruire una vita più leggera e gratificante.

*psicologo clinico, psicoterapeuta

9 settembre 2023 – © riproduzione riservata

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