Superena…eletto
[di Ernesto Giacomino]
Da una recente trasferta a Napoli ho scoperto la persistenza di un’istituzione che credevo temporalmente relegata ai film di Eduardo di inizio secolo: il lotto “secondario”. Funziona così: l’estrazione è sempre quella ufficiale, ma la riffa te la giochi con broker privati: le puntate le paghi a loro, se vinci incassi e se perdi li arricchisci.
Dov’è il vantaggio? Ovvio: non essendoci spese di gestione, questi pagano sensibilmente di più. E – non dovendo aspettare autorizzazioni dall’Erario – pagano pure subito. Dulcis in fundo, poi: a quelli conosciuti fanno pure credito per qualche mese, così da dar loro la possibilità di farsi detrarre i soldi delle puntate direttamente dall’eventuale vincita (perché poi, lì, per quel loro modo di giocare – piccole poste, ma con una continuità da maratoneti – alla lunga un contentino arriva sempre).
Tutto illegale, ovviamente. Clandestino, per essere morbidi. Ma funziona alla grande; a modo suo è un sistema perfetto, che tappa le falle insite nel sistema ufficiale: scarsa proporzionalità tra puntate e vincite, lentezza e burocrazia nei pagamenti, rischi per l’anonimato del vincitore.
La morale di tutto, alla fine, è più che evidente: a noi, un apparato pubblico che funziona non interessa e né interesserà mai. Non fa business. L’Italia è l’unico Paese al mondo in cui tra i due massimi modelli politici-economici, quello liberista e quello socialista, si sceglie un ibrido che fa comodo a tutti: quello parassitario. Quello che s’aggrappa in egual modo tanto alle inefficienze dello stato che all’incompetenza (spesso colpevole) dell’utenza, e scava una zona grigia di terriccio in cui fare soldi a palate.
Succede così un po’ per tutto: le varie agenzie di servizi che incassano commissioni per la sola maestria di saper fare da intermediari (spesso, traduttori) tra enti e cittadini, o le succursali di pompe funebri presso le sale rianimazione degli ospedali, o taluni avvocati strapagati solo per scrivere lettere di messa in mora o accedere a fascicoli in tribunale. O queste famose poste private di fresca ideazione, con gli sportelli adiacenti a quelli delle poste “ufficiali” per raccogliere al volo gli scontenti del servizio pubblico, quelli andati via perché hanno trovato troppa fila, il pensionato che ha litigato col dirigente borioso, il frettoloso che non ha trovato parcheggio.
Davanti a ognuno di questi presidi di servizi “riparatori”, insomma, pare esserci un cartello invisibile su cui intuire un messaggio specifico: tutti i disservizi che avete trovato di là, qui non li avrete.
Ecco, magari anche la politica andrebbe fatta così. A Battipaglia siamo ormai a un tiro di schioppo dalle prossime amministrative, è ripartito il toto-sindaco, si tessono patti e alleanze, partono intrighi e inciuci, cominciano a circolare nomi equamente divisi tra lontanamente papabili e oggettivamente impresentabili. Si centuplicano i valzer su meriti e colpe, i cambi di casacca dell’ultim’ora, i poemi dai manifesti e le liti a mezzo stampa. E c’è di mezzo il bilancio, la cui mancata approvazione potrebbe accelerare vertiginosamente l’esigenza di una nuova amministrazione. Insomma: raramente scenario politico fu più torbido e inquietante di adesso.
E allora, giusto per un difettare in sicurezza, chissà che anche accanto al portone del Municipio, prima o poi, non compaia un ufficetto con l’insegna scalcagnata e la scritta cubitale: “Qui, politica privata. Magari costa più di quella pubblica, ma almeno poi saprai con chi prendertela”.
11 aprile 2013 – © riproduzione riservata