Pubblica illuminazione: proviamo a vederci chiaro

[di Carmine Landi]

«La luce è colore». Chissà se l’indimenticato William Turner, “pittore della luce”, scoverebbe policromie ai piedi delle controverse lampade della nuova pubblica illuminazione battipagliese. L’ennesima opera della discordia, progettata e installata – in apparenza senza seguire così pedissequamente i piani, tipo i meme di “quando-lo-ordini” e “quando-ti-arriva-a-casa” –, attorno alla quale la città si divide ancora tra guelfi e ghibellini. Forse la verità sta nel lungo – e buio, e non dipende dal bravo videomaker – filmato diffuso sui social da Civica Mente, il gruppo del consigliere comunale Maurizio Mirra: movimento d’opposizione, sì, ma che ha affidato la disamina a Chiara Carucci, pluripremiata lighting designer (progettista d’illuminazione) di fama internazionale, firmataria di lavori di rilievo in Italia come nella Svezia delle eccellenze. È battipagliese, ma nemo propheta in Piana.

A favor di telecamera, la professionista passeggia al chiar di luna in città, svelando le criticità di un’impiantistica che – Bignami del video – mostra colori spenti laddove il progetto prevedeva luci calde (dieci vie e due piazze), lascia al buio i marciapiedi, in qualche anfratto rischiara il proverbiale «balcone della signora» ed esibisce finanche nuove lampade, una accanto all’altra, capaci d’illuminare in due modi differenti. La Carucci non ne fa una questione battipagliese: «Nelle gare italiane – spiega mestamente – il principio del risparmio energetico prevale sempre». Le nuove luci dividono perfino milanesi e romani. Più virtuosi ma più bui. L’esempio nitido (si fa per dire) è tra via Gonzaga e via Carbone: «Lì ci sono ancora le lanterne vecchie che avevano dei vetri opali, quasi bianchi, che, senza le leggi per l’inquinamento luminoso, consentivano d’irradiare la luce un po’ dappertutto». E allora «con le nuove ottiche ci si limita a tanta luce quanto ne serve: le normative Uni ci aiutano a definire i valori, cioè le quantità di luce, per determinare la sicurezza percepita, in questo caso delle strade». Poi c’è la prassi: «In queste gare i progettisti non hanno il tempo per verificare eventuali conflitti, come gli sbracci montati sui palazzi con lampade nuove sul balcone, e l’azienda che vince l’appalto per fornitura ed installazione non ha il potere economico per affrontare il problema del marciapiede buio». E il tempo è risicato, «e spesso gli uffici non interloquiscono tra loro e con i progettisti». 

Premesse tutt’altro che rosee, ma che non sono una condanna preventiva, e quindi neppure un’assoluzione: «Se usate bene, le ottiche delle lampade a led ricoprono perfettamente la sede stradale, ma si potrebbe pensare di usare più lampade, con potenze più basse, per illuminare sia la carreggiata che il marciapiede». Tradotto dal “tecnichese”, vuol dire che se, «anziché una da 48 o 36 watt sulla sede stradale, io ne monto una da 18 watt sulla sede stradale ed una da cinque o sei watt sul marciapiede, i costi maggiori (perché vanno comprate due lampade in luogo di una sola, ndr) dopo un po’ si ammortizzano (in termini di consumi, ndr)». E poi – Enea, authority dell’energia, dixit – queste gare servono a migliorare anche altro: «Ad esempio la percezione di sicurezza sui marciapiedi e sulle strisce pedonali, che laddove non ci sono, possono essere ridipinte?».

Appalti vittime d’una postilla, quel “simile o equivalente a” che accompagna ogni apparecchio di progetto nella predisposizione del capitolato tecnico. «All’80 per cento – soggiunge la Carucci – sono convinta che, laddove previste, le luci calde non ci sono». E poi i quartieri residenziali rischiarati “a freddo” già nel progetto: «Dicono che tutto sommato il colore dei palazzi resta lo stesso. Eppure basta guardare la propria pelle sotto i lampioni per accorgersi delle differenze». Accade pure che pali vicini emettano colori differenti: «Difficile accada con led di qualità più elevata. Comunque un rup (responsabile unico di progetto, ndr) in sede di collaudo può verificare puntualmente e chiedere alla ditta delle modifiche in caso di evidenti discrepanze di qualità». A sentir la lighting designer non tutto è perduto: «Con un budget limitato si possono fare degli accorgimenti». Per le strisce pedonali «servirebbero apposite luci ad hoc». Laddove sono le lanterne «basterebbe aggiungere un cono di metallo che diffonda meglio la luce». Infine i marciapiedi: «Sulle strade grandi, in via Mazzini come in via Roma, va aggiunta un’altra lampada». E, se i soldi mancano, «quando i privati chiedono i permessi edilizi, si può domandare un contributo». Perché “la luce è colore”. Col buio ancor di più.

21 ottobre 2023 – © riproduzione riservata

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