Porgi l’altra tasca

[di Ernesto Giacomino]

Boh. Leggendo le notizie dell’ultima settimana di cronaca cittadina mi monta il sospetto che siamo vittime d’una qualche invisibile nube tossica, tipo fuga di sostanze volatili da questi segretissimi laboratori di ricerca da film horror americano (o da delirio complottista all’italiana). Gas inodori e incolori, insomma, che serpeggiano indisturbati per le strade e ci s’infilano nel cervello a privarci – gradualmente, un filino per giorno – della capacità d’intendere e di volere.

Ché quella, la violenza, voglio dire, già di per sé è difficile da contrastare quand’è strumento d’una strategia studiata a tavolino, figuriamoci quand’è semplicemente figlia della stupidità: non c’è di che calmare o disarmare, là, se non trovando il modo di farsi miniaturizzare e infilarsi dritti nel cervello del violento a dirigergli i sobbalzi dei (pochi) neuroni.

Fatto uno, allora: il furto alla parrocchia San Gregorio VII. Che, diciamocelo, per quanto la cultura popolare sia intrisa di detti e proverbi alludenti a episodi di furti in chiesa, oltre a essere un reato ha sempre quel retrogusto amaro, indigeribile, della profanazione. Per tutti, eh: credenti come atei, praticanti come eretici. Predicatori come blasfemi. Un peccato extra, fuori dai comandamenti: la rottura dell’inviolabile, ultramillenario patto di fiducia con la collettività. Perché parliamo di edifici che, pur custodendo valori spesso importanti, vengono tirati su e rifiniti senza chissà quali recinzioni e garitte e ponti levatoi proprio perché fondati su quello che fino a ieri si credeva un dogma inossidabile: il rispetto incondizionato della gente verso i luoghi di culto. S’è perso anche questo, insomma: manco l’ombra, di tutti quei dilemmi e conflitti interiori che pur straziavano il Dudù di “Operazione San Gennaro” nei momenti prima dell’azione.

Fatto due, poi: zona Serroni, signora con cane a passeggio. Parliamo di un tratto con traffico sostenuto, con una certa densità abitativa, con veicoli che – salvo la possibilità d’attivare un qualche meccanismo antigravitazionale e librarsi in volo – dovrebbero procedere a passo d’uomo. Eppure, un’auto è riuscita non solo a viaggiare a una velocità tale da investire e ferire cane e signora, ma anche ad allontanarsi indisturbatamente senza prestare il minimo soccorso. Come se, anziché due esseri viventi, avesse urtato un palo, un segnale, uno spicchio di marciapiede. Che me l’immagino, la spiegazione, se fossero riusciti a fermarlo: eh sì, vabbe’, quando capito che la macchina non s’era danneggiata non m’è parso il caso di fermarmi a chiedere i danni. Anche se, guarda là, oddio me ne accorgo solo ora, ma m’ha sporcato il parafango con il pelo?

Ultimo, ma non ultimo: un episodio che, non fosse stato ripreso dalle testate locali, sarebbe passato in sordina come le centinaia di casi analoghi che ormai si susseguono nel quotidiano. Nella villa comunale Longo un gattino randagio si sarebbe avvicinato a un ragazzo miagolando per la fame, e questi avrebbe reagito prendendolo a calci. Fortuna ha voluto che fossero presenti altre persone, prontamente intervenute in difesa del felino e trattenutesi a stento dal ripagare il giovane con la stessa moneta. Ma questo solo perché poco scaramantiche: non ci credevano, che pestare certa roba porta bene.

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