Fos, rabbia e speranza

[di Carmine Landi]

«Potrebbero essere i nostri papà». Chiara Paino, 18 anni, frequenta il Besta-Gloriosi di Battipaglia. È una delle ragazze dell’oratorio della chiesa Santa Maria delle Grazie di Belvedere. Nel lunedì della marcia, colorato dal grigio delle nuvole che grondano rabbia e dal verde dei fumogeni che irradiano speranza, c’è pure lei. Uno dei volti della meglio gioventù decisa a ravvivare la carovana delle 1.200 anime (dati della Questura) in pena per le sorti della Fos. Sorregge uno striscione insieme ai coetanei della parrocchia, che attorniano il parroco don Massimiliano Corrado. È stato lui, il “prete della fabbrica” (felice definizione degli operai), a portare il cuore della comunità all’ombra del gazebo di via Spineta, casa dei 289 presidianti. «Quando siamo stati lì, ci hanno consegnato la storia della loro industria, lasciandoci toccare con mano le loro paure», soggiunge Chiara. 

Nell’ora più buia della Fos, la speranza arriva dai giovani della città. Non tutti, ma comunque tanti. Sono quelli che avrebbero potuto approfittare del febbrile clima d’un lunedì di protesta per restare sotto le coperte e invece, con le mani a pochi centimetri dai menti, reggono gli striscioni della mobilitazione. Di padre in figlio: Aurelio Molinari, pure lui del Besta-Gloriosi, di anni ne ha 17. E indossa l’ormai familiare felpa bianca col marchio della fabbrica in bella mostra, quella che, unitamente all’apparente stabilità del posto del lavoro, induceva a paragonare gli uomini della Fos ai dirigenti medici degli ospedali. Quella maglia è del papà, oggi in cassa integrazione: «Siamo qui a battagliare – dice – per consentire ai nostri padri di poter lavorare». Le voci dei giovani spiccano tra le urla e i petardi di un’ordinata protesta. L’ultima manifestazione ragionata ed educata, perché senza spiragli il senno si perde, «e noi non controlliamo più – confessa Mimmo Zottoli, consigliere comunale Pd e sindacalista Fos – persone ridotte allo stremo sul piano psicologico ed emotivo». 

“La Fos non si tocca”, si legge sulle saracinesche abbassate. La carovana che si snoda alle spalle del fantoccio in maglia bianca con un cappio al collo gronda di rappresentanze di lavoratori sopraggiunti dalle più grosse fabbriche cittadine: ci sono quelli della Cooper Standard, della Nexans, della Riba Sud. Giurano eterna vicinanza ai compagni: «È una battaglia del Mezzogiorno». Lo ripetono i sindaci che guidano il corteo: Cecilia Francese di Battipaglia, il presidente della Provincia Franco Alfieri di Capaccio Paestum, Mario Conte di Eboli, Giuseppe Lanzara di Pontecagnano Faiano, Alessandro Chiola di Montecorvino Pugliano, Martino D’Onofrio di Montecorvino Rovella, Mimmo Volpe di Bellizzi e Biagino Luongo di Campagna. Al coro s’associano i deputati Anna Bilotti, Antonio D’Alessio e Piero De Luca, i consiglieri regionali Franco Picarone, Corrado Matera e Andrea Volpe, tutte le anime del parlamentino cittadino, i capi dei partiti denudati d’ogni colore. Tutti tranne due: il grigio rabbia, il verde speranza.

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