Sapole di male

[di Ernesto Giacomino]

Fermi tutti: ho la soluzione. L’erogazione dei servizi pubblici, a Battipaglia, appaltiamola ai cinesi. In fondo sono decenni che gli stiamo gradualmente dando le chiavi dell’intera economia: elettronica, tessile, manifattura, ristorazione. La cura del “benessere psico-fisico”, per metterla sull’elegante.

Come dire: la qualità è un optional, non ci interessa; l’importante è che, finalmente, a una qualsiasi spesa corrisponda una minima resa. Se vai in uno store d’elettronica tradizionale e metti cinque euro sul bancone non tiri via niente, se vai in un bazar cinese te ne torni con un caricabatterie, due lampade, un tappeto, un cappello e un posacenere. Certo, roba uguale solo in apparenza: tempo qualche settimana e ti si disintegrerà tutto davanti agli occhi come per un incantesimo: ma almeno quei cinque euro – seppure per un periodo minuscolo – si saranno trasformati in qualcosa. Ché siamo al punto, noi, in cui non pretendiamo resistenza o affidabilità del bene acquistato: ce ne basterebbe l’esistenza.

E un cinese, questo, te lo fa. Ti vende dichiaratamente il prodotto “parallelo”, senza trucco senza inganno, ma tu vorrai sempre convertire la cosa nell’illusione perpetua d’aver fatto l’affare del secolo. E vivrai inspiegabilmente più sereno, andrai al lavoro con animo lieto, sopporterai il capufficio, crederai nelle istituzioni.

Il litorale, per dire: immaginate aver risparmiato le decine di migliaia d’euro per un depuratore che comunque non funziona e aver dato, invece, un centinaio d’euro al chimico di Shangai Peppe Cheng-Woh: li avrebbe investiti in bicarbonato e ammorbidente per panni, ci avrebbe regalato chilometri di sabbia bianca e acqua cristallina che manco le cartoline dalle Maldive. E ok, magari poi farci il bagno non sarebbe stata l’idea del secolo: ma, come ho già detto, vuoi mettere quell’inebriante – temporanea – sensazione di do ut des, corrispettivo contro servizio, che quaggiù non proviamo da anni?

Oppure, eccolo là: il discorso sicurezza. Un organico di polizia tutto cinese, con l’ispettore capo Zhao che – viste procedure, burocrazia, carenza di mezzi – non spreca soldi ad arrestare delinquenti: semplicemente, li sostituisce. Quelli veri li acciuffa e li ricicla come con i pezzi da cinquecento euro, spedendoli nel Tarim ammassati in containers settimanali; e al loro posto ci mette pezzotti parecchio più gestibili: spacciatori di borotalco, scippatori di manichini alla Rinascente. Truffatori sulle portate dell’all you can eat.

Ultima ma mai ultima, poi: la sanità. Tabelle e segnaletica sostituite, ovunque, da disegni di Ying e Yang, medici al pronto soccorso che ti visitano non appena scendi dall’auto e studiano i sintomi al volo in base a un indovinello o all’abbinamento tra camicia e pareti della sala d’attesa. Tutto inutile e improvvisato, diagnosi tirate fuori con paroloni tecnici messi insieme a caso, lastre ai polmoni fotocopiate da altre laste estratte a sorte dal mucchio. Però col sorriso, con empatia, con umanità. Con l’obiettivo, comunque, d’infonderti quella certezza che qualcuno si stia prendendo davvero cura di te.

Perché se a un cinese lo paghi, lui qualcosa – per quanto piccola, sfuggente, sbriciolata – te la dà. Il famoso senso del dovere, insomma: l’unica cosa per la quale, quaggiù, faticano a trovare originali da cui copiare.

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