Il furbo

[di Lucio Spampinato]

Quando il metronotte Giannino La Guardia finì il suo turno alle sei del mattino, prese un caffè al bar dell’ospedale a fianco alla guardiola dove lavorava e subito uscì a recuperare l’auto per fiondarsi a casa a dormire. La macchina, che lui chiamava amorevolmente vecchia scassona, era proprio davanti all’uscita ma, ad un primo colpo d’occhio, si accorse subito che qualcosa non quadrava, anche se non riusciva a capire che cosa. Poi, un lampo improvviso e realizzò che mancava la targa anteriore. Corse a vedere se quella posteriore fosse ancora al suo posto. Per fortuna c’era! Cercò sotto la vettura, in lungo e in largo, dentro le aiuole ma della targa neanche l’ombra. Pensò di andare subito a sporgere denuncia ma poi ci ripensò e chiamò il suo amico avvocato Luigi Vindice De Silva il quale gli confermò l’esattezza del suo primo proposito e, dunque, si rassegnò ad andare dai Carabinieri. Dopo quindici giorni dalla denuncia, avviò la richiesta di reimmatricolazione e nel giro di dodici giorni gli furono consegnate le targhe nuove con le quali la vecchia scassona sembrava in verità un tantino ringiovanita.

Ma non durò molto il suo buonumore poiché, a quasi due mesi dal misterioso smarrimento della targa, si vide recapitare una raccomandata da parte di un avvocato, tal Amos Pomino, che parlava di un risarcimento del danno subìto da un suo cliente in un incidente provocato dalla sua scassona. 

“Oddio! Un incidente, ma quando è successo?” pensò Giannino. Non lesse il resto della lettera e si rivolse di nuovo al suo amico Luigi, l’avvocato. La lettera diceva che la settimana prima un cliente dell’avvocato Pomino si era ritrovato la macchina molto ammaccata nello sportello posteriore destro e che fra le lamiere si era conficcata una targa anteriore che, da indagini al PRA, risultava dell’auto del signor La Guardia. Si parlava di forti danni, che c’era possibilità di una composizione stragiudiziale ma che bisognava portare le somme allo studio del Pomino entro cinque giorni, altrimenti si andava a giudizio. L’avvocato restò un momento a pensare e la sua faccia assunse tutta una serie di espressioni che andarono dal preoccupato, al perplesso, al rilassato e infine al divertito. Facce che Giannino stentò a decifrare. 

«Gigì! E allora?». 

«Non ti preoccupare!», fece Vindice De Silva. «Me la vedo io. Vieni, ti offro un caffè».

Il giorno seguente, De Silva chiamò il collega Pomino, annunciandosi come legale del signor La Guardia in riferimento alla sua lettera. 

«Ah, sì, ricordo», esordì Pomino, ostentando noncuranza. «Eh, brutta storia quella! Ma il tuo cliente vuole pagare?».  

«Non credo!» rispose secco Vindice De Silva. 

«Ah va beh! Se cominciamo così, io non perdo tempo, caro collega! Deposito l’atto anche domani. Da come ho visto i ruoli oggi in cancelleria, è possibile che la causa venga in meno di due mesi. Ci vediamo in tribunale». Poi ci andò pensando, come un retropensiero inconsapevole e malevolo e disse: «A proposito, collega. Ma se il tuo cliente non vuole pagare, perché mi hai chiamato?».

«In realtà, volevo solo dirti che, la targa in questione il mio cliente l’ha persa oltre quarantacinque giorni fa, e che dopo la denuncia ai Carabinieri, ormai da due settimane la sua macchina è bella che ritargata. Perciò, ho sporto denuncia perché vorrei capire come ha fatto a provocare un incidente appena la settimana scorsa. E anche il giudice Corbellino vuole saperlo. Tu lo conosci, no? Quando ha letto, era talmente imbufalito che non riusciva a parlare, è riuscito solo a mimare con le mani i due articoli del codice penale dei reati che ha già ipotizzato: 640 e 646. Truffa e appropriazione indebita».

Ancora lo vede ogni tanto, Luigi Vindice De Silva, l’avvocato Amos Pomino rincorrere le udienze penali per evitare di essere coinvolto in un favoreggiamento.

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