Stasera mi butto

[di Ernesto Giacomino]

Eh lo so, per l’ennesima volta sembrerò un candidato all’intramontabile trasmissione televisiva battipagliese, “Chi vuol essere assessore?”. Prevalentemente per una materia, la solita, quella che appena saliamo in auto ci fa dare testate al finestrino alla partenza da casa e unghiate in faccia quando proviamo a rientrarci.

La viabilità, insomma. Non perché sia un comparto in cui non necessitino competenze specifiche, eh: ma magari fra i tanti settori è quello che ci tocca più da vicino. Specie a quelli come me, che lavorano fuori sede e ogni santo giorno, fino a definitivo collaudo del teletrasporto, la città dovranno necessariamente attraversarla in macchina.

Ho bighellonato un po’, durante queste ultime vacanze natalizie. Mi sono cimentato in statistiche strane, esperimenti, elaborazioni di teorie. Messomi in strada, insomma, ho cercato di stilare una classifica delle cause più ricorrenti, quaggiù da noi, a monte del perenne ingolfamento del traffico. E il podio, secondo me, ha dell’incredibile.

Terzo posto, ovvero medaglia di bronzo: maleducazione civica. Soste in doppia fila, mancato rispetto delle svolte obbligate, incapacità di camminare per file parallele. Paghiamo il danno di patenti regalate dagli istruttori in particolari giorni di grazia; di gente che se ha dieci minuti di tempo prima di un appuntamento li impegna piazzandosi a centro strada a dieci chilometri l’ora, con lo stereo a palla e il cellulare all’orecchio. E a cui non puoi dire di muoversi perché l’idea che qualcuno possa avere fretta non è contemplata dal suo codice morale.

Secondo posto, silver medal: vabbe’, solita questione, sensi unici e divieti d’accesso potenzialmente da rivedere, fermi ai tempi di quando per Battipaglia giravano un massimo di cinque mezzi tra macchine a carbone, filovie e il ciuccio del piattaro. Un esempio a caso: l’assurdità di consentire l’imminente svolta a destra entrando in via Roma dalla salita del sottopassaggio. Zitta zitta, si porta sulla coscienza un buon pezzo del traffico inumano che si estende fino alla rotonda di via Rosa Jemma.

E ok: ma alla fine, in questa speciale e poco scientifica classifica delle cause che, più di ogni altra, ammazzano la viabilità, chi c’è al primo posto? E beh: loro. Essi. Quelli là. I pedoni che attraversano a caso, ignorando l’obbligo di farlo sulle strisce. Sono gruppi, folle, agglomerati. Sulle vie principali ne becchi un paio ogni dieci, massimo venti metri: non si mettono al lato aspettando strada libera, no. Ti si parano davanti, guardandoti in cagnesco se solo dai l’impressione di non riuscire a fermarti. Già pronti ad aggredirti, maledirti. Pestarti, perché no. Ci sono tratti in cui, per il rischio d’investirne qualcuno, viaggi per centinaia di metri sotto i dieci chilometri l’ora. E pure così ogni tanto ti tocca frenare, rallentare, studiare: cosa farà, adesso, la signora? Aspetterà, desisterà? Si butterà?

È che avranno ricevuto poca istruzione, secondo me, sull’esistenza e il corretto utilizzo delle strisce pedonali. Magari il grosso di loro crede siano tratti in cui l’asfalto impallidisce per cali di pressione; o che siano di origine aliena tipo le leggende su Stonehenge o l’Isola di Pasqua.

Comunque sia c’è ancora tempo, aiutiamoli a capire. Ne va della loro sopravvivenza, e soprattutto della nostra.

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