Il male d’inverno

[di Ernesto Giacomino]

Mi ha spiazzato parecchio, quest’estate, quel fatto dei gestori dei lidi che hanno chiesto un incontro col commissario prefettizio per parlare del calo d’incassi e invocare un aiuto economico dal Comune. Addirittura, da qualche parte, ho letto che pretendevano si proclamasse lo stato di calamità naturale, per attivare una qualche procedura di risarcimento pubblico. Come se l’arbitrario aumento del 30-40% sulle tariffe di ombrelloni e cabine, il pizzo del gettone anche per la doccia fredda, i parcheggi abusivi da tre euro al giorno, la diffusa scortesia con la clientela, l’incuria nella manutenzione di qualunque pezzo di sabbia al di fuori del proprio orticello, non fossero dipesi da loro, ma da un qualche tornado o maremoto che avrebbe scombussolato le cose a loro insaputa: e scusate, signo’, non ci possiamo fare niente, il listino lo abbiamo trovato già così, s’è aggiornato da solo per via di una tempesta di sabbia.
È quindi calamità naturale – non potrebbe essere altrimenti, no? – se la gente ha scoperto che una giornata di mare a Battipaglia costava più di una a Palinuro, che coi soldi d’un ghiacciolo o una pizzetta su un lido nostrano ci si pagava un primo a un ristorante di paese, che quella desolazione sporca chiamata spiaggia – più che per stendersi – era buona al massimo per contagiarsi con funghi e verruche. È calamità naturale, insomma, che la gente abbia imparato a pensare e a scegliere di non andare dove non conviene.
Siamo realisti, ogni tanto. Gli operatori balneari nostrani li conosciamo più o meno tutti, c’è chi d’inverno fa tutt’altro e chi ha la fortuna di poter sfangare il resto dell’anno con il solo denaro incassato al mare. Ma prescindendo dallo status patrimoniale dell’uno o dell’altro c’è un dato temporale, incontrovertibile, che li riguarda tutti: dalla fine di un’estate e l’inizio dell’altra passano almeno sette mesi. È quello il tempo in cui pianificare, organizzare, studiare le strategie di mercato; sono quelle le settimane – a bocce ferme – in cui, se proprio si vuole o si deve, vanno sollecitate le istituzioni a dare una mano per la buona riuscita della stagione.
Anche quest’inverno, salvo un timido tentativo da parte di un consorzio di operatori – limitatisi peraltro a elencare criticità banali che conosciamo tutti – non se n’è visto uno solo, di questi imprenditori improvvisamente lamentosi, recarsi in spiaggia a controllare lo stato delle cose, sondare (magari a proprie spese) il livello d’inquinamento di acqua e sabbia, rendersi propositivo circa la pulizia della pineta, la ristrutturazione della pista ciclabile, la viabilità di quei due tratturi asfaltati che collegano il centro alla litoranea.
Ci si ficca in un letargo attendista fino a pasqua, poi si apre la cassa cercando d’inforchettare quante più prenotazioni al prezzo più alto possibile, e stop: si aspetta il sole, la bella stagione, le ferie dei turisti, senza muovere altre dita.
Come fosse, la loro, non un’azienda, ma la versione new age del campo dei miracoli.

12 settembre 2013 – © riproduzione riservata

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