Avanti c’era posto

[di Ernesto Giacomino]

Garofalo198-01

Platea o galleria. Legno o poltroncine. Il ridotto per militari e ragazzi. La pausa al primo tempo, che diventava crocchiare di patatine per buona parte del secondo. Lo “schiocco” di chiusura dell’oblò gigante del Garofalo, lassù, al centro esatto del tetto: occhio con ciglia di lampadine messo a separare la folla dalla maestosa imprevedibilità del cielo aperto.
Fino all’incalzare degli anni ’80 di cinema, a Battipaglia, ce n’erano ben quattro. I tre “commerciali” – Garofalo, Alambra, e un Esperia non ancora a bollino rosso – più il Bertoni, il “cinema dei preti”, con proiezioni domenicali semigratis a esclusivo appannaggio della clientela under 18: dai vecchi film di Disney alla fantascienza di nicchia (pellicole fuori circuito di quando Spider-man si chiamava ancora Uomo Ragno e se la spassava senza troppi traumi esistenziali), passando per classici della cinematografia religiosa come I Dieci Comandamenti, Marcellino Pane e Vino, Fratello Sole Sorella Luna.

Quattro sale cinematografiche che – considerando una media, nell’intera provincia, di meno di una per comune – rappresentavano un record conteso solo dalla vicina Salerno.Tutte lì, in pieno centro, fruibili in pochi passi dall’universalità della popolazione: single, coppie, famiglie, adulti, ragazzi, non classificati. E utilizzate, alternativamente, anche come altro: mitici, ad esempio, gli spettacoli teatrali del Garofalo (col palcoscenico calcato da artisti del calibro dei De Filippo o dei Giuffré), come i concerti all’Alambra (le cui mura – ora, ahia, scaffali di detersivi e cibarie – hanno ospitato le note della PFM, del Banco o de Le Orme). Insomma: la cultura, una volta, era quella di un cinema educato, accomodante, non assolutista. La sala di proiezione esisteva non in funzione della semplice visione di qualcosa, ma come costola di concetti più semplici e sereni quali aggregazione e convivialità. Non ci si organizzava, per andare al cinema, perché il cinema non sostituiva l’uscita con amici o parenti: semplicemente, la accresceva. Nessuna pianificazione, nessuna seduta snervante in Internet per accaparrarsi biglietti e prime file, nessuna trasferta o imbottigliamento nel traffico o ricerca spasmodica di un parcheggio libero. C’era il passeggio a via Italia o via Roma, la puntata in rosticceria, la buttata d’occhio alle locandine: piace, non piace, si entra, si rimanda. Un tassello, uno dei tanti, messo a completamento della creazione di una serata.

Non abbiamo più cinema, a Battipaglia come altrove. Ma forse qui la circostanza è più luttuosa, drammatica, desolante: non mancano semplici edifici, ormai, ma interi pezzi della memoria cittadina. Chiuso il Garofalo, trasformati in altro l’Alambra e l’Esperia, per un po’ ha provato a resistere solo il Bertoni. Davide contro Golia, no? Ma senza l’inaspettata vittoria con fionda e pietra. Qui è andato tutto secondo copione: la logica dei multisala che, a lungo andare, ha macinato, straziato, violentato la dimensione ludica del grande schermo per portarla nell’alveo della massificazione, del prodotto industriale, della clientela ormai standardizzata che ha sostituito l’identità tra svago e tempo libero con l’ossimoro tra fretta e tempo perso.

30 gennaio 2014 – © riproduzione riservata

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