La Terra dei Fuchi

[di Ernesto Giacomino]

Microdiscariche. Ancora. Dappertutto. Al centro come in periferia, di notte come di giorno. I parcheggi pubblici di via Plava e via Matteo Ripa, le nicchie tra il verde a Serroni Alto, i tratti incolti della Fasanara e dell’Aversana. Basta uno slargo, una sbucciatura, un’ansa tangente alla strada: cumuli di rifiuti, in un niente. Elettrodomestici, mobili, giocattoli; ma anche semplici buste dell’umido o della plastica. Montarozzi d’indifferenziato, poi: dai posacenere svuotati ai cartoni unti delle pizze.

Mistero. Misterissimo. Andrebbe studiato, psicanalizzato, il meccanismo per cui a un servizio gratuito che viene a prenderti i rifiuti fin sotto casa si preferiscono chilometri in auto per sortite clandestine ingolfati di bustoni e comodini. Con lo stesso risultato – buttare i sacchetti – ma con più fatica e meno (zero) compassione per l’ambiente.

Un fenomeno, magari, da lasciar spiegare a sociologi, antropologi, zoologi. Tralasciando, ovviamente, i visionari di turno che ancora una volta danno la colpa agli immigrati (c’è una teoria delirante da telefilm USA, per dire, per cui l’extracomunitario non fa la differenziata per non dover esibire il permesso di soggiorno. Come se le buste della spazzatura, al mattino, tenessero serigrafate sul dorso nazionalità e libretto di lavoro di chi le butta. Limitare un po’ l’abuso della playstation e uscire di più all’aria aperta no, eh?).

E ok, sono immodesto. Ma io la risposta ce l’ho. Camorra, si chiama. Ovviamente non quella organizzata, istituzionalizzata, armata, temuta dal popolino. Non “il sistema” di racket, spaccio, tangenti. La nostra è più intima, individuale, introspettiva. È solo un seme. Atavico, però. Antico, radicato nel DNA. Il germoglio da cui, alla lunga, fioriscono quei talenti con parecchi mitra e pochi congiuntivi. Quella predilezione della comodità a discapito delle regole, degli interessi personali al di sopra di quelli pubblici.

In effetti lo scandalo più recente è toccato all’asse Napoli-Caserta solo perché – geograficamente, dico – scendendo da Nord arrivava prima. Non siamo mica migliori, noi. Anzi. Noi ci avremmo messo assai meno di vent’anni, a farci contaminare da ogni sorta di rifiuti: chimici, speciali, industriali, agricoli, spaziali. Fossero venuti prima qui, quei signori nordici là, i ripulitori in terra altrui delle scorie e dell’immondizia malata, avrebbero trovato pure un prezzo migliore. Perché quelle poche remore che si sono fatte, quei proprietari terrieri del napoletano-casertano, qui non avremmo saputo neanche come chiamarle. Non ce le abbiamo proprio, noi, le remore. Concetti come ambiente, vivibilità, senso civico, rispetto del territorio, se altrove, alla lunga, hanno quantomeno suscitato un pudico sentore di pentimento, qui non ci avrebbero sfiorato nemmeno di striscio. La fatidica Terra dei Fuochi è lontana solo per un fatto di tempestività e opportunità: e ci ripuliamo la faccia, con cotanta – relativa – distanza, non per nostra scelta cosciente ma per quell’ipocrisia postuma del perdente che si congratula a giochi conclusi: meglio così, meglio così, a vincere col trucco mi veniva ottimo, ma solo con la garanzia sovrana che non se ne accorgesse nessuno.

La goduria degli spavaldi, la minzione del territorio del botolo randagio. Esattamente come il fuco, che per orgoglio e natura mai rinuncerebbe a quei pochi, fuggenti secondi d’intimità con la regina di turno. Pur sapendo che, di lì a un tot, pagherà comunque un prezzo ben più alto del piacere ottenuto.

27 febbraio 2014 – © riproduzione riservata

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