Disfate il vostro gioco

Lo dicevo qualche anno fa, da queste stesse pagine. Sorridendoci velatamente sopra, col tenue dubbio sui boom potenzialmente transitori, destinati a tornare prima o poi nei binari della sostenibilità.
Invece no, macché. Alla faccia delle affermazioni di berlusconiana memoria sui ristoranti pieni, quelli che a Battipaglia t’accorgi non essere mai vuoti – se non altro dando un’occhiata alle auto in tripla fila – sono i centri scommesse. Un dato non significativo in quanto tale, ma perché emblema di una mutata concezione del collegamento tra potenzialità individuali e aspettative di vita: non più impegno e crescita personale e lavorativa, ma fiducia incondizionata in una sontusa, determinante botta di deretano.
Succede un po’ a tutti, un po’ ovunque, un po’ sempre. Passeggiata serale o pomeridiana, qualche giro tra corsi e panchine, e… “goool!”: immancabile come inaspettata, arriva l’esultanza di qualcuno con gli occhi fissi sul tablet o lo smartphone. Cosicché fai mente locale, realizzi che non è giorno di campionato, ti scappa di chiedere chi stia giocando e quello là – guardandoti come fossi un troglodita frutto di un guasto nel tempo – ti fa: “ma come, è il derby uzbeco tra il Tarstajamick e il Volkmervistan, sto beccando il risultato esatto insieme all’over di Pescasseroli-Real Atessa”. Ci ha messo dieci euro, spiega, se vince la bolletta ne incassa ‘ben’ centoquaranta.
E beh: m’immagino la vita, di questi qua, per arrivare a cotante soddisfazioni. Ore e ore di studi e statistiche, la ricerca frenetica di siti specializzati con le formazioni di squadre della Groenlandia, attenziona suprema alle news sullo stato di forma dell’attaccante inuit appena ripresosi dall’intossicazione di aringhe del Mar Glaciale Artico.
E poi i gratta e vinci, il milionario, il milardario, il turista per sempre, il brutto ma ricco, il tirchio ma simpatico: tutti prodottini sfiziosi, nati per alimentare il sogno del “prima o poi mi licenzio e campo di rendita” ed evolutisi nel “prima o poi ti licenziano, e di rendita ci campa lo Stato”.
Insomma: quel famoso avvertimento dell’AAMS, “gioca responsabilmente”, è un ossimoro. È come dire a un figlio piccolo “sfrenati ma non sudare”. O, a un pugile, “vinci ma non colpire”. È insito nell’essenza stessa del concetto di gioco: il divertimento vuole incoscienza. Quantomeno una punta.
Nessuno gioca da responsabile, perché se lo fosse non giocherebbe. Se il mio salumiere mi suggerisce di comprare oggi cinque litri di latte a lunga conservazione perché domani potrebbe aumentare, è ugualmente una scommessa: ma lì faccio prevalere la prudenza e non rischio (nonostante – a ben vedere – non avrei nulla da perdere). Prendo il mio litro oggi, domani si vedrà, frattanto mi tengo in tasca otto euro. E magari me li gioco, va’, perdendoli tutti. Avrei potuto darli al negoziante e tenerli in circolo nell’economia locale, ho preferito prendere un accendino e dargli fuoco. Con le ceneri che, opportunamente ripulite e rivitalizzate, ridiventano denaro sonante nelle tasche del monopolio, senza essere corrispettivo di nulla. Come dire: ci fosse un manuale dei “mille modi per frenare l’economia”, questo sarebbe indiscutibilmente tra i primi dieci.

27 novembre 2015 – © Riproduzione riservata
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