L’incontinente nero

[di Ernesto Giacomino]

Pare abbia suscitato perplessità l’inattesa adesione di una consistente fetta di cittadini, in vista delle prossime comunali, alla lista “Noi con Salvini”. Un po’ perché, da sempre – nonostante i tentativi di “cosmopolitizzazione” degli scorsi anni – nell’immaginario collettivo la Lega resta sinonimo di antimeridionalismo spinto, un po’ perché molti imputano al loro leader attuale un cerchiobottismo nemmeno troppo velato, che a seconda del target di elettorato da conquistare alterna recuperi di credibilità politica a clamorose (studiate?) cadute di stile.
È che hai voglia che ce ne abbiamo avuti, qui, di partiti accorsi a risolverci i problemi. Dal famoso patto con gli italiani e il cancro sconfitto in tre anni, ai faccioni da buoni guagliuni di inconsistenti leader democratici, non ce n’è stato uno, uno solo, che non abbia fondato buona parte della propaganda elettorale sul rilancio del Sud.
Il punto è: cosa ci aspettiamo, noi battipagliesi, dalla Lega? Sarà vera, quest’inversione di tendenza che con gli anni ne ha ammorbidito la posizione da secessionista a localista, da anti-italica a patriottica, da radicale a moderata? Un Comune le cui cause sovrane di disagio non sono nella scarsa attenzione da Roma, bensì in centinaia di pagine della Prefettura che ne hanno rivelato un malessere prevalentemente intestino, può davvero pensare che s’arrivi da Milano con la felpina e il turpiloquio e paf, “ruspe sugli zingari e neri a casa loro”, e benessere sia?
Negli ultimi vent’anni la Lega è stata ripetutamente al governo, avendo più volte l’occasione di porre in essere quella rivoluzione socio-culturale tanto propagandata nelle piazze. Ma gli stessi cavalli di battaglia oggi (edulcoratamente) proposti come capisaldi della nouvelle epoque, è innegabile, si trascinano in coda i fantasmi un fallimento nemmeno troppo passato. Il federalismo fiscale non ha mai attecchito, più che una traslazione di gestione da centro a periferie si è rivelato una sovrapposizione di competenze e di carichi impositivi. La politica sull’immigrazione si è sostanziata unicamente in una legge che ha sovraffollato carceri, questure e centri di accoglienza, senza lenire di un micron il problema della clandestinità.
Non sono in pochi, in sostanza, a pensare che a spingere l’abbraccio cittadino al progetto di Salvini (bignamizzato in concetti non meglio precisati, in verità, come “difesa del territorio” e “indipendenza da Bruxelles”) sia ancora una volta la strumentalizzazione di un disagio, lo stesso che per trent’anni ha additato il flusso migratorio dal Sud (il primo nome del movimento, ricordiamocelo, fu “Lega Anti-meridionale”) come palla al piede dell’evoluzione socio-economica del Nord (all’epoca, paradossalmente, auspicata in direzione Europa).
D’altra parte, però, il fatto che un partito storicamente considerato campanilista ed esterofobo attecchisca anche in zone fino a ieri politicamente ostili, dà comunque da riflettere. Come dire: ok, proviamo; ben venga chiunque, se davvero capace. Ma se deve fermarsi tutto al solito e ritrito rituale dell’istigazione a spiovere, quando mai, lasciate stare. Che ce n’è, di stadi, in cui andare a urlare slogan. Specie, in verità, contro di noi.

12 febbraio 2016 – © Riproduzione riservata
Facebooktwittermail