Guerra in Alba: in due rischiano il posto


Dopo le variazioni agli orari di lavoro stabilite dai vertici dell’azienda municipale, volano gli stracci tra i sindacati provinciali e il management

Aria pesante dalle parti di Alba: guerra fredda tra amministratori e dipendenti.
Fioccano provvedimenti disciplinari ai danni di otto operai, due dei quali adesso rischiano il licenziamento; i sindacati, allora, annunciano una linea durissima e minacciano d’adire le vie legali; Ugo Tozzi predica la calma.
Il casus belli va ricercato nelle modalità d’attuazione delle due ore in più previste dalle modifiche apportate nel 2016 al contratto collettivo nazionale di lavoro Federambiente: non si lavora più per 36 ore a settimana, ma per 38. I dirigenti e i lavoratori ne erano a conoscenza fin dallo scorso anno, tant’è che quelle due ore erano previste pure dal capitolato d’oneri che fu siglato tra le parti a dicembre a Palazzo di Città. Nello stesso contratto, però, si pattuiva che ogni variazione avvenisse a seguito d’un confronto tra azienda e maestranze.
Tant’è che il 31 gennaio le parti s’incontrarono e sancirono che le due ore venissero recuperate lavorando per venti minuti in più al giorno. E inizialmente si stava procedendo così. Poi, però, il 10 aprile qualcosa è cambiato. I dipendenti del comparto igiene, infatti, si sono ritrovati in bacheca un nuovo ordine di servizio: il martedì e il giovedì, anziché alle 12, si stacca alle 13. Una differente ripartizione delle ore aggiuntive.
I lavoratori, però, non ci stanno: quella variazione d’orario, a loro dire, sarebbe illegittima, perché non deriva da una trattativa sindacale. D’altronde, il 20 marzo scorso, un ordine di servizio uguale era stato sottoscritto dal responsabile del settore igiene, Salvatore Izzo. Tre giorni dopo, però, fu proprio l’ingegnere a fare marcia indietro: «Gli ordini di servizio – si legge nel verbale d’una riunione lampo tra Izzo e le rsu che si tenne il 23 a via Rosa Jemma – vanno ridiscussi in una riunione sindacale da convocare con urgenza e quindi devono considerarsi non operativi».
Quando poi i lavoratori si ritrovano dinanzi un ordine di servizio fotocopia, rimangono esterrefatti. In otto, inizialmente, decidono di fare orecchie da mercante, non considerando valida quella variazione d’orario, e continuano con i venti minuti in più quotidiani. Poi, però, il 26 aprile arrivano i primi provvedimenti disciplinari, e in sei si tirano indietro, perché il gioco della protesta non vale la candela del posto di lavoro. In due proseguono: i richiami, per loro, arrivano a tre, e gli operai si ritrovano costretti a stendere delle controdeduzioni per scongiurare la sospensione e il consequenziale avvio delle procedure di licenziamento. Luigi Giampaolino, manager della partecipata, scrive una nota all’indirizzo dei segretari provinciali dei cartelli sindacali, che s’occupano personalmente di scrivere le argomentazioni dei due lavoratori. Inoltre Erasmo Venosi (Fp Cgil), Ezio Monetta (Fit Cisl), Gennaro Scarano (Uiltrasporti) e Teresa Vicidomini (Cobas) rispondono a Giampaolino con una missiva in cui annunciano d’essere pronti a chiedere ai guidici la repressile della condotta antisindacale – i due lavoratori a rischio sono rsu – ai sensi dell’articolo 28.
Il vicesindaco Tozzi, che di recente è stato tirato in ballo da Cecilia Francese per occuparsi in prima persona dei rapporti tra Palazzo di Città e la società in house, prova a placare gli animi. Lo fa dopo essersi confrontato sia con la sindaca che con Giampaolino. «Vogliamo discutere – afferma – ma ci aspettiamo pure che i lavoratori e i sindacati collaborino con noi e ci vengano incontro». E sui provvedimenti chiosa: «Nessuna malafede!».

5 maggio 2017 – © Riproduzione riservata
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