A dismisura d’uomo
[di Ernesto Giacomino]
Quand’ero piccolo avevo un cugino col vizio di chiedere il bis di qualunque cosa stesse mangiando, prima ancora di finirla. Cosicché la madre gli diceva sempre: “Ma finisci prima quella, no?” E lui: “No, di questa non ne voglio più”. Un paradosso degno dei migliori classici greci; non fosse, in realtà, che quel bambino aveva tre o quattro anni, e dunque il diritto assoluto a qualunque contraddizione.
Questi qua di adesso, invece, quelli che disquisiscono d’una Battipaglia avveniristica e spaziale, di anni ne hanno, mediamente, una quarantina in più. E però sentili: tutti lì a ipotizzare un futuro col Tusciano trasformato nell’Hudson e la linea d’aliscafi per Olevano; o con l’Eurodisney tra Aversana e Fasanara, o con la doppia metropolitana (una linea sotto l’altra, modello spiedino) per perforare direttamente il nucleo terrestre e arrivare in Cina in tre ore e quaranta (buffet incluso).
Frattanto, nel presente, hanno intorno una città che quanto a barriere architettoniche è seconda solo agli scenari di Tomb Raider. In trent’anni, più o meno, che s’è finalmente recepito il problema, gli unici veri miglioramenti in questa direzione sono stati il restyling del sottopassaggio ferroviario, gli scivoli all’ingresso di qualche ente pubblico (non tutti) e qualche bancomat ribassato (per accedere ai quali, però, spesso c’è da affrontare un gradino di marciapiede superabile solo se hai la carrozzella a propulsione e gli pneumatici da Formula Uno). E altrove, peraltro, i valichi d’attraversamento negli stessi marciapiedi sono comunque impervi (con rialzi, rispetto al terreno, anche di cinque-sei centimetri), tant’è che anche i passeggini e le carrozzine per neonati, per imboccarli, hanno bisogno d’impennate da motociclista che manco il Rossi degli anni d’oro. Roba che sembra fatta tanto per fare, diciamocelo: scarabocchi fuori traccia per non consegnare il compito in bianco.
Il problema, se da un lato è istituzionale, dall’altro è essenzialmente mentale.
Lì dove dovrebbe provvedere la mano pubblica, ok, tiriamocene fuori buttando giù la solita storia sul “piove governo ladro” e imprecando contro inerzia e burocrazia. Ma nel campo privato la solfa non cambia: difficilmente si vedono in giro negozi, studi, uffici, banche, attrezzati per la bisogna. Ci sono casi limite, addirittura, in cui una banale, removibile pedana di legno (trent’euro? Quaranta?) parrebbe già sufficiente a limare – e di parecchio – il disagio. Poi, però, me li immagino, ‘sti commercianti e ufficianti vari, mentre scrutano un po’ le difficoltà d’accesso al loro esercizio e pensano: “e va be’, però, basta che l’accompagnatore si stringe un po’ qua, o devia di là…”.
Ecco, quello è l’errore concettuale. L’accompagnatore. L’obbligo di chiedere assistenza. Il diniego dell’autosufficienza a prescindere; l’arroganza di pensare che un disabile non debba esercitare i suoi diritti di cittadino esattamente come tutti, riservandosi il sacrosanto diritto di compiere le sue azioni in perfetta autonomia.
Fin quando questo sarà una città a due livelli, allora, accantoniamo i progetti holliwoodiani e torniamo alle giostrine. Bastano quelle: un giro e a nanna. Perché siamo piccoli – troppo – finanche per sognare.