Adolescenza e autolesionismo

[di Anna Lambiase, psicologa*]

Gli ultimi due anni hanno evidenziato un’impennata preoccupante di un fenomeno che riguarda principalmente gli adolescenti: l’autolesionismo. Secondo l’ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), la parola autolesionismo (autolesionismo non suicidario) indica una serie numerosa di comportamenti attraverso cui provocarsi danni a livello fisico con conseguenti sanguinamenti, ecchimosi e sperimentazione di sensazioni dolorose. Esistono diversi tipi di manifestazioni autolesionistiche: il “cutting” (tagliarsi con un oggetto affilato), il “burning” (provocarsi bruciature o ustioni) e il “branding” (marchiarsi con oggetti roventi).
L’autolesionismo non suicidario è distinto dal suicidio perché le persone non intendono il proprio gesto come letale, anche se il rischio a lungo termine di tentativi di suicidio è aumentato. L’autolesionismo non suicidario tende a manifestarsi nei primi anni dell’adolescenza e non vi è distinzione tra i sessi. Spesso è associato ad altri disturbi psichici, come il disturbo antisociale di personalità, disturbi alimentari e disturbo di personalità borderline o abuso di sostanze. Le motivazioni psichiche alla base di questo gesto sono variabili da persona a persona e, soprattutto, dipendono dalla storia personale. La pelle è il registro della nostra vita ed è il nostro primo contatto col mondo esterno. Violarlo, segnarlo con atti autolesionistici è una ricerca di dolore che paradossalmente provoca una scarica di adrenalina, quindi uno stimolo estremamente forte. Vedere il dolore concretizzarsi ne evita la sua diffusione in maniera massiccia. La sofferenza rimane circoscritta in un luogo specifico, a cui seguono rituali e schemi precisi. La sua comparsa nella fase adolescenziale è legata al processo di identificazione e alla costruzione interna di vissuti emotivi che sono talmente forti e importanti, che reggerli per quella età è molto difficile. L’autolesionismo diviene una metafora tra il Sé, il Corpo e il Mondo, tipico dell’adolescente. Mediante il proprio corpo, l’adolescente sperimenta le emozioni e i vissuti e trova un suo posto. Ma quando il corpo diviene luogo di dolore, allora s’innesca una dinamica di autodistruzione e isolamento.
Quando un genitore scopre che il figlio si fa del male, vive uno stato di shock. Cosa fare? Innanzitutto, non assillare con le domande e non farsi vedere agitato, il che provocherebbe una dinamica maggiormente ansiogena. Anzi, ciò di cui si ha necessità è la rassicurazione, il giusto sostegno, la calma e richiedere un aiuto concreto mediante i servizi sul territorio. Spesso ciò che si è scoperto è solo la punta di un iceberg. L’adolescente vive la più difficile delle transizioni che un individuo affronta durante le fasi del ciclo vitale ed è fondamentale dargli la giusta rete di aiuto, come base del suo futuro.

* Psicologa, esperta nei disturbi dell’apprendimento

30 ottobre 2021 – © riproduzione riservata

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