Ancora rifiuti, dietro casa | Carmine Sica
In allarme le comunità della Piana del Sele: autorizzato a Serre un impianto per produrre elettricità e biocarburante utilizzando anche rifiuti “speciali”. Forte presa di posizione dei sindaci di Serre e Campagna, proteste anche ad Eboli; a Battipaglia ancora nessuna reazione ufficiale delle istituzioni
Il concetto di rete, o interconnessione, è estremamente attuale ed altrettanto complesso. Certamente non è un concetto nuovo. Eppure oggi, comunemente, associamo questo concetto soltanto alle reti telematiche, o ai social network. Senza creare o leggere le reti che ci circondano concretamente. Da sempre, tutte le attività umane, produttive o sociali che siano, generano reti. Solo negli ultimi decenni, però, si sta comprendendo come le azioni poste in essere anche a qualche decina di chilometri da noi possano avere un’influenza diretta sulle attività, sulle economie e sulla salute nostra.
In queste settimane, nel Comune di Serre, si discute dell’installazione di un impianto sperimentale da fonte rinnovabile, o meglio, come se ne scrive nell’autorizzazione regionale 651 del 18 dicembre del 2012, di «impianti alimentati da fonte rinnovabile». Si tratta d’un’autorizzazione alla realizzazione ed esercizio, limitatamente ad un periodo di sei mesi, di un impianto sperimentale a biomasse con produzione innovativa e sinergica di energia elettrica da fonte rinnovabile, della potenza di 1,54 megawatt, da realizzarsi nel Comune di Serre, nel Salernitano. L’azienda proponente è la Sphera srl.
Già nel 2014 sopraggiungono i primi problemi per questa autorizzazione. Il 31 marzo di quell’anno, infatti, il Consiglio di Stato specifica: «L’impianto di cui trattasi va qualificato tra quelli destinati, non già al recupero di rifiuti, ma alla produzione sia di biocarburante che di energia elettrica». Un chiarimento che alimenta un dubbio: come mai è stata necessaria una specifica del genere? Nell’analisi dell’autorizzazione regionale citata, si legge che nell’impianto «verranno impiegate le biomasse conferite e utilizzate come sottoprodotti, ovvero non rifiuti, e gestite da terzi come rifiuti». E tra i rifiuti che verranno impiegati nell’impianto si annoverano i seguenti:
CER 180102: parti anatomiche ed organiche incluse le sacche per il plasma e le riserve di sangue;
CER 180203: rifiuti che devono essere raccolti e smaltiti applicando precauzioni particolari per evitare infezioni;
CER 180106: sostanze chimiche pericolose o contenenti sostanze pericolose;
CER 200203: altri rifiuti non biodegradabili;
CER 130109*: oli minerali per circuiti idraulici clorurarti;
CER 050112*: acidi contenenti oli;
CER 070109*: fondi e residui di reazione, alogenati;
CER 080111*: pitture e vernici di scarto, contenenti solventi organici o altre sostanze pericolose;
CER 140601*: clorofluorocarburi, HCFC, HFC;
CER 160709*: rifiuti contenenti sostanze pericolose;
CER 190208*: rifiuti combustibili liquidi, contenenti sostanze pericolose.
D’altro canto, un’altra sentenza del Consiglio di Stato, sempre del 2014, evidenzia che affermare che l’impianto utilizzi solo biomasse sarebbe «un’affermazione errata in punto di fatto e smentita in modo inequivoco dalla documentazione in atti, in particolare dallo stesso decreto regionale di autorizzazione, dalla relazione tecnica versata in atti dal Comune e dagli elaborati progettuali approvati».
Reti, si diceva. Per esempio idrauliche. Come quelle che portano l’acqua nella Piana del Sele. Alle nostre coltivazioni. Quelle coltivazioni che, in questo periodo di crisi economica, stanno sostenendo il livello economico ed occupazionale della zona.
La stessa autorizzazione «decreta di dichiarare l’impianto, le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio dello stesso, di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti».
È quindi davvero di pubblica utilità un impianto del genere che insiste sulle risorse idriche che sono a pochi chilometri dalle nostre produzione di pregio?
Al momento, forse, non è interessante giudicare l’affidabilità imprenditoriale e scientifica del progetto né tantomeno la fattibilità amministrativa. Forse, però, è più interessante capire la fattibilità politica e territoriale. Perché siamo tutti sulla stessa barca.
Mentre altrove la discussione politica su questo impianto è già cominciata, a Battipaglia – quella che dovrebbe essere la capitale della piana del Sele – non se ne parla. Forse non è arrivata la notizia.
O forse è poco interessante. Rete è anche rete informativa.