Battipaglia è per sempre

Filo diamantato, si chiama. È un cavetto che, a intervalli regolari, collega l’un l’altro dei piccoli cilindri d’acciaio nei quali sono incastonate delle scaglie di diamante sintetico. Un diamante è per sempre, ripeteva uno spot. Eterno perché indistruttibile. Tant’è che, in greco antico, per parlare del più nobile tra i minerali, s’utilizzava il termine adamas: indomabile, inconquistabile. Da sempre ciò che non si ottiene agevolmente attira spasmodicamente a sé gli uomini, e di esempi ce ne sono a bizzeffe: Prometeo e il fuoco degli dei, la volpe d’Esopo che prova ad afferrare l’uva, Paride d’Omero che crede di poter possedere Elena. E poi i sovrani e i dittatori che affollano le pagine dei libri di storia, e brigano e battagliano per vedere incrementato il proprio potere, ma rimangono mortali, e spesso muoiono trafitti da una lama, o con una fune al collo, o esposti al fuoco d’un plotone.
Filo diamantato. Viene utilizzato nelle cave, il filo diamantato. A Battipaglia, zona altamente critica, quel cavetto indistruttibile ha distrutto le montagne. A guardarli in una foto d’epoca, quei colli che sovrastano la città, nemmeno li si riconoscerebbe: possenti, imponenti e rigogliosi. Maestosi, sì, ma poi un cavo sottilissimo, del diametro di cinque millimetri, li ha devastati. Ora sulle scrivanie dei funzionari del Genio Civile di Salerno e dei tecnici ambientali della Regione Campania c’è un progetto di dismissione dell’attività estrattiva, con la contestuale riqualificazione d’una vasta area che s’estende tra il cimitero di Battipaglia e le località Buccoli e Fontana del Fico, fino ad arrivare alla vicina Eboli. Sarà realizzato un grande prato verde, come canta Gianni Morandi. Bello. Come il diamante. Ma c’è un prezzo da pagare: c’è la dismissione, il periodo necessario alla cessazione delle attività estrattive, che al momento non può superare i cinque anni, ma a Palazzo Santa Lucia si lavora per portarli a otto. Altri otto anni di scavi. E la Provincia dovrebbe individuare nuove aree estrattive, i comparti. Dovrebbe farlo da undici anni, ché la terra s’ha da tagliare e il diamante non può aspettare. È bello, il diamante. Cinge i colli delle donne e il colli di Battipaglia, il diamante.
E pure Battipaglia è adamantina. Dicono sia brutta, ma quando la guardi dalle alture delle cave, e tutta quella vita cittadina ti scorre sotto gli occhi, e vedi le strade, le case, i palazzi, i quartieri, le macchine, le serre, il fiume e il mare, li capisci quei forestieri che nel secondo dopoguerra vennero a popolarla. È un diamante, sì. È bella, ma non puoi possederla. In tanti vorrebbero prendersela, Battipaglia, però poi, a volerla afferrare, si finisce come la roccia tagliata dal diamante. Se t’avvicini, rischi tanto. E fa male quando guardi la tivù insieme ai tuoi figli e lo senti, il nome della tua città, sulle emittenti nazionali, e sul piccolo schermo ne ridono, e magari qualcuno dei tuoi sorride con loro. E fa male quando leggi d’un’azienda comunale e t’accorgi che in campagna elettorale tutti la vorrebbero, e c’è chi la offre sul piatto, ma poi, quando non si vota, manco ci si riesce ad incontrare attorno a un tavolo, in quella società, e non per parlare per due ore, ma di due ore. Battipaglia è così perché tutti la vorrebbero, ma nessuno riesce a prendersela. E sventrata, mangiucchiata, morsicata, continua a vivere. Gli esseri umani possono mettere un diamante al collo, o al dito, ma restano mortali pur mostrando qualcosa d’eterno. Il diamante non cesserà d’esistere, perché non appartiene agli uomini, ché è più forte di loro. Un diamante non si possiede. D’un diamante si può soltanto avere cura.

5 maggio 2017 – © Riproduzione riservata
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