Come un giglio | di Stefania Apostolico
Sveva ha compiuto sedici anni da quattro giorni e tutto quello che riesce a vedere di se stessa è un corpo che non le piace. I sorrisi che raramente affiorano sul suo volto raccontano solamente una nostalgia, una nostalgia di un tempo incontaminato da delusioni e tradimenti, un tempo che forse non è esistito mai. Sveva guarda il mondo da una finestra, stagioni che si susseguono apparentemente uguali, osserva il flusso delle cose senza mai tuffarsi dentro.
Il ricordo del giorno del suo compleanno si impone ingombrante sugli altri pensieri creando scompiglio. C’erano tutti, le compagne di scuola che si scambiavano risolini e confidenze, i parenti stretti relegati in un angolo della stanza a osservare, con curiosità e stupore, una generazione troppo distante e poi c’era lui che da qualche mese aveva invaso ogni sua fibra.
Sveva non si sentiva attraente, Sveva si sentiva invisibile eppure i suoi sentimenti erano vivi e frementi. Lui le passò accanto senza sfiorarla, poi si fermò, si voltò e per un istante a Sveva parve di cogliere una possibilità. Fu un attimo che svanì in fretta, come un’onda che sembra travolgerti ma poi si accartoccia su se stessa e si confonde con il movimento perpetuo del mare, senza clamore. Lo osservò: rideva, chiacchierava, cantava. Era bello, dannatamente bello. La notte che seguì trascorse insonne. Il cuore un po’ in frantumi ma tenace continuava a fantasticare.
La mattina si scontrò con un’immagine riflessa nello specchio che non le apparteneva. Cosa c’era di sbagliato? Lo sguardo anonimo, il corpo troppo rotondo e sgraziato, il naso irregolare, le labbra poco pronunciate, i capelli arruffati e spenti. All’improvviso uno squarcio di luce: le idee.
Ecco cosa le piaceva di lei, la corrente che la attraversava, il pensiero sempre originale che non si adeguava mai a nulla che non volesse, la testa dura, il cuore acuto, la sua intelligenza emotiva caotica e vera. Zaino sulle spalle, cuffiette nelle orecchie, si avviò verso scuola fiera come un giglio, contemplando, con finta disinvoltura, la sua figura nelle vetrine dei negozi. Non male, davvero non male.
Tra qualche anno Sveva avrebbe ricordato con tenerezza le sue traversate nelle burrascose pieghe dell’adolescenza senza sminuirle, senza enfatizzarle, le avrebbe accolte come una irrinunciabile parte di sé. Un giorno avrebbe compreso che siamo un mosaico colorato e mai uguale ad un altro, ogni tessera rotola e si perde ma poi trova la sua collocazione.
Un giorno. Per ora correva accalorata e felice verso un nuovo probabile incontro tutto da esplorare e finalmente da vivere.
30 aprile 2021 – © riproduzione riservata