Con calma e per favore

[di Ernesto Giacomino]

A conti fatti, di tutto possono accusarci, noi battipagliesi, fuorché che non siamo un popolo rilassato. Adagiato, pacioso. Quaggiù non esistono orari di punta, picchi d’affluenza, assembramenti e sfollamenti. Qua s’è tutti, comodamente, a ogni ora, disseminati per strade e marciapiedi a dare un senso alle giornate. Da pedoni, da automobilisti. Da utenti di servizi, che siano a scelta o a caso: oddio, m’avanza una mezz’oretta, ora m’accodo a quelli in banca per chiedere come ottenere un prestito che neanche mi serve. O magari passo dal medico, va’: mi siedo, sfoglio un “Novella 2000” dell’86, scambio ricordi di dolori e cicatrici con qualche coetaneo che s’è fatto i bei tempi dell’austerity e del colorante E123.

Una peculiarità, proprio: una caratteristica turistica. Ché se vai, che ne so, nel piccolo paese alle dieci del mattino, ci trovi al massimo l’ululato del vento tra i vicoli deserti, mentre gli abitanti sono disseminati tra uffici, campi e fabbriche dei comuni vicini. E se ti sposti nella grande città la trovi brulicante, sì: ma di gente affaccendata, professionisti che scappano con cravatta e valigetta, mezzi di lavoro zigzaganti nel traffico.

Qua no. Qua, fosse mattina come pomeriggio o prima sera, il colpo d’occhio, l’aplomb generale, resta quello: andazzo comodo e sonnecchiante d’un villaggetto messicano di fine ’800 in orario di siesta. Gruppetti in modalità shopping in bermuda e infradito, conversatori professionisti, passanti allo struscio come in una domenica di giugno a via Toledo. Manco i mattinieri classici, qua da noi, lo sono più. Lo si conosce tutti, almeno un imbianchino, o muratore, o idraulico, che tiene smontati impianti o scartavetrate pareti in almeno quattro appartamenti diversi, e al proprietario di ognuno dice che oggi non può andarci perché troppo impegnato con l’appartamento di un altro, e tutte queste telefonate di rimpallo e rinvii se le fa davanti al bar con la Peroni in mano. E il furgone-cella del rifornimento di salumerie e minimarket? Quello che incrociavi per strada al massimo alle sette, sette e mezza? Adesso t’arriva direttamente per ora di pranzo o d’apericena, sai a chi importa più d’avere il latte fresco per i bambini, ora c’è a lunga conservazione, o lunghissima, o eterna. Il latte highlander, col faccione di Connor MacLeod su ogni lato del bricco. Che tanto manco è più latte, poi: è derivato di soia, d’avena, di mais. Di pungitopo selvatico trafilato raccolto sulle alture del Madagascar. Con una mano sola, e i piedi legati.

Che pure gli altri negozianti, poi, quelli non alimentari tipo mercerie o profumerie o abbigliamento: aprivano presto proprio per beccarti prima che andassi al lavoro: entra pure, che ti serve, una camicia o un calzino o un bottone, siamo qua per servirvi tutti prima che v’addentriate nel tunnel del vostro noioso tran-tran quotidiano, poi magari chiudiamo per il resto della mattinata ma almeno una botticella d’incasso l’abbiamo fatta. Ora no, non serve più: il flusso degli acquirenti, per qualche arcano motivo, s’è organizzato e spalmato nel corso dell’intera giornata.

Perché quale battipagliese, pur se fosse un astronauta sulla stazione lunare, rinuncerebbe ad atterrare un attimo per comparsi le scarpe nuove per la comunione del nipote?

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