Due cognomi meglio di uno?
[di Chiara Dentato, Notaio]
All’indomani dell’ordinanza emessa dalla Corte Costituzionale, con cui le norme censurate sono state dichiarate illegittime per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ho pensato di condividere con i lettori di Nero su Bianco una riflessione. Un tentativo ardito, atteso che mentre scrivo le motivazioni poste alla base della decisione assunta dalla Consulta non risultano depositate; indi, ogni riflessione a seguire, appare svincolata dal percorso tecnico, logico e giuridico seguito dai giudici con l’ermellino.
La censura viene comminata per contrarietà al principio di uguaglianza: la Corte Costituzionale definisce “discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio (e della donna!) la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre”.
Di qui, la Corte dichiara illegittime tutte le norme nelle quali si fa riferimento al cognome paterno, statuendo il diritto per il figlio (legittimo, naturale e adottivo) di assumere entrambi i cognomi, il cui ordine di assunzione deve essere scelto di comune accordo tra i genitori; in mancanza di accordo deciderà il giudice.
La delega al legislatore è assai ampia; si stabilisce, infatti, che siano assunte successivamente tutte le norme necessarie ad eliminare il “patronimico” dall’ordinamento costituito, onde consentire la piena parità di genere, utile all’affermazione dell’identità di ciascun individuo.
Si cambia, dunque: da un cognome, due cognomi, salva diversa volontà dei genitori di assumere uno solo dei due, preferendo – se del caso – anche quello della sola madre, scelta quest’ultima fino ad oggi preclusa.
In attesa del deposito delle motivazioni, sia consentita una riflessione di sola opportunità: che la parità di genere sia obiettivo da assumere quale (plus-) valore in ogni società civile, è fuori discussione. Ma che si affidi a un cognome il compito di restituire alla donna l’importanza, il rispetto e la dignità che ella è in grado di custodire e di promuovere, è cosa assai singolare. E che si attribuisca ad un giudice il compito di dirimere un (potenziale) contrasto familiare, di accogliere una decisione in luogo di un’altra, impone di consegnare agli organi di giustizia strumenti di valutazione assai delicati, di fornire loro ancore nei mari in tempesta.
Infine, siano consentiti spunti critici di riflessione: in caso di contrasto, quale regola? Prevarrà il cognome più blasonato, come fosse un titolo? Prevarrà il buon senso? Il genitore più qualificato? Sceglierà il figlio?
L’applicazione delle nuove norme avrà un regime transitorio? La scelta condizionerà gli atti di nascita già esistenti? Gli uffici di stato civile potranno rilasciare stati civili con annotazioni sul sopravvenuto cambio, con salvezza degli atti già rilasciati? La conservatoria dei Registri Immobiliari, la trascrizione degli atti, potrà garantire ancora il principio di continuità che (unitamente alla buona fede) veste l’intero ordinamento preordinato alla tutela dei trasferimenti immobiliari?
Gli interrogativi posti testimoniano quanto un tema delicato come questo vada trattato con cautela, valutando, con generosa attenzione, rischi e benefici. Ricordando sempre, tutti e ciascuno, che “dove arriva il buon senso, non arriva la legge”.
Chi desidera porre un quesito al notaio Chiara Dentato può scrivere a posta@nerosubianco.eu