Due estati | di Kathia Giordano

Avevo un’amica del cuore, da ragazzina. Una di quelle “insieme per tutta la vita” che poi finisci col perdere di vista. Ogni settembre ci ritrovavamo a raccontarci le estati appena trascorse. Io rientravo dal paese col mio scrigno di emozioni colorate del verde delle montagne e pieno zeppo di libri letti all’ombra della pergola nei pigri pomeriggi silenziosi ed ero ansiosa ed emozionata di poterle offrire questo spaccato della mia anima. Ogni volta cominciava lei il racconto e si dilungava per l’intero pomeriggio nella descrizione di lunghe giornate assolate, al mare, tra mille grida, schiamazzi, giochi, nuotate, discoteche e amici grandi con cui fare l’alba. Improvvisamente il verde delle mie montagne impallidiva e il mio racconto si riduceva alla frase “La mia estate è stata lunga e rilassante”. Provai a raccontare per prima le mie tiepide avventure che però perdevano subito il loro sapore magico al cospetto delle tavole da surf, delle bevute clandestine e dei rientri a casa a notte fonda, con le scarpe in mano per non svegliare i suoi. 

La nostra amicizia si interruppe per un po’ e poi riprese con un altro passo e con quel pizzico di distacco tipico di chi si vuol bene ma intanto ha fatto percorsi diversi. L’estate dopo la maturità mi invitò al mare con la sua famiglia per una settimana. Da due anni la mia casa in montagna era di altri proprietari e i libri continuavo a leggerli, ma sul divano, in città, con le tapparelle abbassate a metà e il ventilatore addosso per contrastare il caldo appiccicoso e la luce accecante che invadevano la stanza fino a sera. La morte aveva bussato alla porta di casa mia un anno prima e si era portata irrimediabilmente con sé ciò che restava della mia spensieratezza. Accettai e mi preparai con entusiasmo a quella settimana. Infilai nel borsone azzurro tutto quello che immaginavo potesse servirmi per un’estate sfavillante. Finalmente avrei avuto mille cose da raccontare anch’io, avrei conosciuto miei coetanei e avrei allontanato per un po’ la tristezza che avevo nel cuore. La realtà fu ben diversa. Era luglio e la maggior parte dei suoi amici “divertenti” non erano ancora arrivati. Passai le giornate in spiaggia, in pareo e ciabattine, a parlare del più e del meno con persone che non si sarebbero mai più ricordate il mio nome e ad aspettare il tramonto che, con la sua luce di fuoco, ci avvertiva che era ora di cena. L’unica volta che facemmo tardi rientrammo inutilmente scalze perché trovammo sua madre in vestaglia sul divano. Senza urlare, ci indicò un cesto pieno di quotidiani e riviste. Ci esortò a leggerli e andò a dormire.  Erano tutti articoli che parlavano di donne stuprate e ragazzi morti in seguito ad incidenti stradali in località di villeggiatura. Due giorni dopo, tornai a casa. Quando mi fu chiesto. come fosse andata la vacanza, risposi “ Bene, grazie. È stata breve e rilassante”.

29 maggio 2021 – © riproduzione riservata

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Racconto-box02.jpg
Facebooktwittermail