Genitori assenti e iperpresenti

[di Anna Cappuccio, psicologo clinico, psicoterapeuta]

Quello che più profondamente caratterizza la dimensione emozionale della genitorialità è l’esserci in modo attento e profondo. È questa presenza che permette al bambino, nel percorso evolutivo, di trovare la sua identità e il suo diritto di esistenza nella vita e nel mondo. Essere presenti, però, è un intreccio relazionale denso e significativo che va oltre la semplice presenza fisica e le cure amorevoli. Per esserci in pieno nel rapporto con i figli, per partecipare veramente alla loro crescita e alla loro vita occorre mettersi in gioco completamente, in modo da riuscire a sviluppare un sentire empatico, cioè la capacità di sentire emotivamente il bambino e percepire le sue necessità emozionali profonde. Non è semplice perché spesso le preoccupazioni del quotidiano, lo stress del lavoro, le difficoltà relazionali che possiamo incontrare con le persone a cui vogliamo bene o anche le problematiche interiori irrisolte dentro di noi possono renderci inaccessibili ed emotivamente distanti dai bisogni affettivi dei nostri figli. La difficoltà di stabilire una reciprocità emotiva fa sì che questi bisogni vengano confusi e considerati soddisfatti attraverso una cura maniacale di aspetti pratici o attraverso una presenza asfissiante e ingombrante nella vita del bambino. È una iperpresenza, che possiamo definire di compensazione, la cui funzione non è tanto quella di ascoltare le esigenze del bambino, ma piuttosto di sedare l’ansia del genitore e lenire il suo senso di colpa.  Si esprime con una preoccupazione esagerata per ciò che potrebbe accadere, dando luogo a un controllo esasperato nelle attività del bambino. Il genitore finisce con il sostituirsi al figlio nell’affrontare il quotidiano, impedendogli di sperimentare se stesso e il mondo circostante. Il continuo oscillare tra l’assenza dalla relazione e la presenza soffocante crea nel bambino un vuoto emozionale, un baratro affettivo, un deserto abbandonico che assume i caratteri di una ferita interiore, profonda, dolorante che rimarrà presente anche nella sua vita di adulto. 
Il non riconoscere i bisogni emozionali dei figli in un momento evolutivo in cui si mettono le basi per la formazione della propria autoimmagine, crea sentimenti di insicurezza, una rappresentazione di sé negativa e una sensazione di non essere meritevole d’amore, sensazione che, nel tempo, determinerà una difficoltà a stabilire relazioni affettive soddisfacenti.
Ciò che ci permette di uscire da questo vortice relazione mortifero è riuscire a mettersi in ascolto del proprio mondo interiore e cominciare ad ascoltare con il cuore e attraverso il cuore i nostri figli, ascoltare non solo le loro parole, ma quello che si nasconde sotto le parole, nei silenzi, nei pianti, nei capricci. È questo ascolto profondo che ci può rendere empaticamente e pienamente presenti e che ci offre la possibilità di costruire un sentiero di felicità piena per i nostri figli e per la nostra vita.

24 gennaio 2020 – © Riproduzione riservata

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