I ragazzi della terza etcì

[di Ernesto Giacomino]

Se c’è una cosa che mi sono sempre chiesto è perché chiunque frequenti una scuola debba soffrire le intemperie più di chi faccia qualunque altra attività.
Serio, fateci caso: agli studenti è chiesto di essere puntuali, di ammassarsi e trovarsi già davanti ai portoni quando suona la campanella d’ingresso; eppure – nell’attesa dall’arrivo all’entrata – sono gli unici a non avere alcun riparo da pioggia e gelo.
Che qui da noi qualche scuola magari l’avrà pure fatto, un timido tentativo d’accoglienza in questo senso, prevedendo due o tre metri di porticato stitico o una bozza di pensilina poco più larga d’un tratturo dell’Aspromonte, ma è comunque poca roba – un contentino inutile, diciamocelo – rispetto alle esigenze reali. Perché mentre insegnanti, amministrativi, assistenti possono infilarsi dentro al caldo e al coperto a prescindere dall’orario d’arrivo, alle centinaia di ragazzi per i quali quell’edificio è stato costruito toccano, per minuti eterni mentre attendono d’entrare, piedi tremuli nelle pozzanghere e saluti a ombrellate negli occhi. A me, insomma, dalle De Amicis prima, alle Salvemini (quelle vere, a via Plava) poi, e al Besta alla fine, è da quand’avevo sei anni che mi pare un’infamata.
E ok, obietterà qualcuno, ma va così in tutt’Italia, se non nell’intero mondo. Per un qualche motivo sconosciuto ai più, che si tratti d’asili, elementari, medie o superiori, non paiono essere tante, le scuole con piazzali adeguatamente strutturati per tenere al coperto gli studenti in attesa.
Meglio ancora, allora: facciamo da esempio, da spartiacque. Facciamo la storia. Magari non è così improponibile o difficile, sarà solo perché nessuno ci ha mai realmente pensato. Dice che ora a Battipaglia i soldi da spendere ci sono, e pure se non ci fossero si possono trovare facile, ché ci siamo riabilitati e non siamo più iscritti tra i cattivi pagatori, per cui un debituccio in comode rate ce lo potremmo pure fare. Cioè, se ci siamo potuti permettere milioni per una retrostazione a una stazione che non è mai stata finita – e che sarebbe da abbattere e ricostruire già solo per le barriere architettoniche insanabili che ci hanno lasciato – e addirittura un ponte pedonale, là dietro, così efficiente che mentre tu stai a metà della prima rampa per salirci io sto già a via Rosa Jemma tagliando per il sottopassaggio, allora non possiamo non trovare quattro piloni e un plexiglass per ammodernare un cortile di scuola.
E lasciamoli da parte, i cavilli paesaggistici e i picci degli esteti: vogliamo mettere saperli al coperto, questi benedetti ragazzi, una volta che sono scesi dalla macchina bardati di zaini, cartelle, astucci con diamoniche e violini (e fortuna che non s’insegni anche roba tipo agricoltura o zootecnia se no da casa dovevano portarsi zappa, concime e una scrofa ammaestrata)?
Senza contare il risparmio in termini di traffico: vero che ormai parecchi genitori si tarano sull’ultimo istante utile prima che si richiuda il portone, lanciandoci dentro il pargolo direttamente dall’auto in corsa, ma esiste ancora gente ragionevole che un paio di passi, con quel discreto anticipo, se li farebbe volentieri. Se solo sapesse, insomma, che una volta lasciato il figlio in attesa non entrerà poi in classe a nuoto e inzuppato.

11 dicembre 2021 – © riproduzione riservata

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