Il cortile della discordia

[di Carmine Landi]

Quarantasette metri quadri: l’equivalente d’un monolocale. Tanto misura, in termini di superficie, l’ultima delle inchieste giudiziarie sull’edilizia cittadina, culminata nella notifica d’un avviso di conclusione delle indagini a sette battipagliesi: sono i sei comproprietari del palazzotto mai abbattuto e mai ricostruito, quello all’angolo tra via Mazzini e via Briga e Tenda, e il professionista che aveva firmato il progetto di rigenerazione urbana decaduto per decorrenza dei termini. L’ipotesi di reato prospettata dal pm Bianca Rinaldi è quella dell’errore determinato dall’altrui inganno, sfociato nella falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale. Il “raggirato”, nella prima ricostruzione della magistratura inquirente, è il dirigente dell’Ufficio tecnico municipale, l’ingegnere capo Carmine Salerno, ritrovatosi, suo malgrado, a rilasciare titoli edilizi ideologicamente falsi. Perché fondati su attestazioni fasulle, quelle rese dai sette indagati. 

Nel registro ci sono i nomi dei fratelli Rodolfo e Giuseppe Ragone, quest’ultimo già dirigente di lungo corso dell’Area finanziaria del Comune di Battipaglia, anche se i fatti oggetto d’indagine non riguardano la sua qualifica di funzionario pubblico, bensì il diretto coinvolgimento nell’assetto che possiede il cadente palazzo. E poi ci sono altri due fratelli: si tratta di Andrea e Valeria Vitolo. Gli altri comproprietari inquisiti sono Cosimo Sorvillo e Rosanna Biancullo. E infine c’è Enrico Erra, uno dei più rinomati ingegneri battipagliesi. 

I permessi della discordia sono quelli del 28 giugno 2022 e del 12 luglio 2023, entrambi acconsentivano all’abbattimento della palazzina, oggetto di crolli a luglio del 2021, e alla sua ricostruzione con ampliamento volumetrico: il primo rilasciato ad Andrea Vitolo, delegato a richiederlo dagli altri comproprietari, il secondo a beneficio della società “ViVa”, amministrata da Valeria Vitolo. Nel progetto allegato alla richiesta del permesso di costruire un palazzo più grande di quello preesistente, come da facoltà concessa dal Piano casa, è inclusa la particella della discordia, un cortiletto che è un tutt’uno con la palazzina, con annessi volumi. Solo che la Procura sostiene che i famigerati 47 metri quadri non siano mai appartenuti ai sedicenti proprietari, i fratelli Ragone, bensì a loro lontani parenti che li hanno ereditati in linea successoria dai legittimi proprietari (c’è una causa civile in corso). Convincimento condiviso pure da Antonio Formisano, docente dell’Università di Napoli e consulente del Pm, dai carabinieri della locale Stazione (luogotenente Giuseppe Macrì), coordinati dalla Compagnia di Battipaglia, agli ordini del capitano Samuele Bileti, che hanno condotto le investigazioni, e, in primis, dall’architetto Antonio Mauriello, firmatario d’una relazione catastale molto dettagliata, volta a ricostruire un secolo di cronistoria della particella per conto della “Motta bricks”, la società amministrata dall’ex consigliere comunale Gerardo Motta. La stessa che, da novembre scorso, ha acquisito la comproprietà dei 47 metri quadri bussando alla porta dei legittimi eredi. Insieme al Comune, per il Pm, Motta è persona offesa, perché quel cortiletto confina pure con l’area di scavo corrispondente all’ex clinica Venosa, acquistata all’asta dalla “Motta bricks”. Impresa obbligata a restare con le mani in mano e a pagare al Comune fior di quattrini per occupare da oltre due anni il suolo pubblico recintato, con il consequenziale slalom al quale sono costretti i battipagliesi lungo via Mazzini. Per portare avanti i lavori, infatti, i Motta dovrebbero procedere a una palificazione a 18,5 metri di profondità con una trivella da 300 quintali e abbattere il muraglione rimasto in piedi. Impossibile senza che rovini al suolo pure il palazzo sott’inchiesta, mai demolito perché nel giro d’un anno i comproprietari indagati non hanno fatto partire i lavori, determinando la decadenza del permesso per decorrenza dei termini. Il Comune non ha mai ordinato la demolizione. L’accusa della Rinaldi agli indagati è chiara: «Con false attestazioni, in particolare con una falsa rappresentazione dei titoli di proprietà delle particelle interessate, determinavano con l’inganno il responsabile dell’Ufficio tecnico a rilasciare permessi ideologicamente falsi, in quanto fondati su presupposti insussistenti». 

Il resto si vedrà: nelle mani degli inquirenti, infatti, ci sono anche un’ordinanza comunale d’abbattimento a carico d’uno dei comproprietari, datata novembre 2021, relativa ad alcuni abusi edilizi giacenti nel vecchio palazzo, oltre a un verbale d’inottemperanza al diktat di gennaio 2022. Sei mesi prima che venisse rilasciato il primo permesso. 

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