Il futuro è roseo, ma il presente è quasi nero

[di Carmine Landi]

«Signore, noi sappiamo quello che siamo, ma non sappiamo quello che possiamo essere». Le parole che, nell’Amleto, Shakespeare mise sulle labbra di Ofelia potrebbero essere pronunciate passeggiando lungo via Fiorignano, strada che costeggia i suoli che ospitano l’attuale “Santa Maria della Speranza” e quelli sui quali sarà innalzato il nuovo. “Noi sappiamo quello che siamo”, e il bilancio è tutt’altro che roseo, ché il prioritario capitale – quello umano – del presidio alle porte della Piana è falcidiato dai numerosi pensionamenti che procedono assai più alacremente delle rare assunzioni. La più drastica delle emergenze – tutte riconosciute dall’ingegner Gennaro Sosto, direttore generale dell’Asl, sulla scorta dei piani di fabbisogno del personale trasmessi da Nicoletta Voza, facente funzioni a capo del Dea di Battipaglia, Eboli e Roccadaspide – riguarda soprattutto gli infermieri: dovrebbero essere in 220, ce ne sono 170. Ne mancano 50 perché a via Fiorignano si possa lavorare al minimo di come si dovrebbe. E il passivo dei dirigenti medici, invece, segna un “meno 35”: dovrebbero essercene 85, ne rimangono in servizio all’incirca 50.

Emergenza senza fine: gli effetti si vedono tutti. Ha scatenato l’indignazione della provincia intera, per esempio, la storia della bimba di 19 mesi portata in Pediatria con difficoltà respiratorie, mai visitata a Battipaglia e finita intubata nel reparto di Terapia intensiva del “Santobono” di Napoli. L’ultima di singolari storie: in attesa che le indagini facciano il loro corso, è indimenticata l’odissea di Maria Rosaria Cataldo, classe ’54, battipagliese morta in casa il 14 settembre scorso, all’indomani d’una visita – con quasi immediate dimissioni – al pronto soccorso. Vite spezzate: emblematico il decesso di Giusy Lozza, che perse la vita a 54 anni, vittima d’una peritonite letale (causata dalla presenza d’un coltellino nell’addome) la sera del 12 maggio del 2022, a pochi minuti dal sospirato accesso all’ospedale, dopo un’attesa sulla barella di un’autoambulanza protrattasi per oltre cinque ore. 

Il pronto soccorso è un porto di mare: un esorbitante mole d’accessi – d’estate s’arriva a quota 70 in una mattinata – con infermieri che fanno il triage, la medicazione e, all’occorrenza, anche il caffè. La sospensione nell’estate 2022 delle attività di cardiologia, poi, era tanto temporanea che un anno e mezzo dopo il reparto non è stato ancora riaperto. Per non parlare dell’inespresso polo nascite: alla Tin, la terapia intensiva neonatale, sono rimasti appena 11 infermieri, quattro dei quali bloccati da patologie invalidanti. Di neonatologi ne restano tre. La conseguenza è che la Tin – che necessiterebbe di quattro medici per turno – seppur funzionante resta pressoché chiusa, accettando solo bimbi nati oltre le 34 settimane. Al nido fisiologico c’erano dieci puericultrici: ne restano tre. E in tutto l’ospedale s’attinge a piene mani alla costosissima Alpi (attività libero professionale intramoenia) pagata ad ogni medico ben 65,10 euro l’ora, mentre un turno di guardia notturna costa ben 480 euro. Per far funzionare i reparti battipagliesi ce ne vogliono circa 30 mila l’anno. Milioni di euro per “sapere ciò che siamo”.  

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