Il lavoro nobilita l’uomo | di Gabriella Pastorino

Ma voi ne siete proprio sicuri? Io sì, assolutamente certa.
Questo concetto l’ho sentito per la prima volta da suor Brunilde del Santa Teresina del Bambin Gesù a Salerno. Probabilmente ero in quarta elementare e poiché adoravo tutte (…quasi tutte) quelle suorine, prendevo per oro colato i loro santi principi. Ero una bambina imbranata, studiosa e molto ben educata (mamma menava) e loro erano gentili ed affettuose con me. 
Verso la fine della prima media – ero passata al Tasso – ricordando la loro tenerezza nei miei confronti e la pazienza verso le birbonate di mio fratello, mi si insinuarono nella memoria i bei doni preziosi che mamma faceva all’Istituto. Un crocifisso d’argento massiccio, secondo me, mi dette una spintarella quando si scelse la bambina che nella recita pasquale avrebbe offerto alla madre superiora un coniglietto vivo. Ovviamente tremavo ogni volta che che quell’accidenti di bestiola spingeva il musino fra le corde che lo imprigionavano in una scatola da scarpe luccicante, ma, apparentemente imperterrita, dal palco nell’aula magna traboccante di mamme in gran tiro, con voce squillante assicurai la nostra cara madre superiora dell’affetto mio e di tutte le alunne, certa che il coniglietto avrebbe rallegrato con le sue corse felici il dolce cuore della superiora, cuore un po’ sperduto fra imponenti strati di grasso, visto che la suora era più larga che alta.
Mi rendo conto che, al solito, ho scantonato. Volevo fare un profondo discorso sulla differenza fra il denaro duramente guadagnato e quello regalato, o comunque non sudato. Lo so che è più nobile preferire il denaro stentato, ma io non sono nobile manco un po’ e, sfumata l’influenza delle suore del Santa Teresina, sono arrivata alla conclusione che certe volte un orpello o persino un libro, mi si opacizzano fra le mani se penso a quanta fatica, quante rinunce mi è costato averlo.
Viceversa, se ad un bel dono si lega un viso sorridente o magari una canzoncina scema di compleanno, beh, io me lo godo di più. E badate che sono convintissima che il lavoro nobiliti, ma il contar soldo su soldo immalinconisce. Pensare che quel qualcosa – una piantina, o un libro o uno smeraldo (!) – è stato scelto con il mio viso negli occhi di qualcuno che mi vuol bene, ecco, mi fa sentire speciale, amata, capita.
Concludo con un ricordo (un altro!): al liceo mi estasiavo fra italiano, greco e latino, ma la filosofia la studiavo veramente obtorto collo. Si nota, vero?

17 ottobre 2020 – © Riproduzione riservata

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