Il ponte per l’Essere
[di Lucio Spampinato]
A forza di guardare le cose da una prospettiva ottusa, ordinaria, invariante, si finisce per non vederle più per quelle che sono. Ad esempio, quello scorcio di collina sul tunnel dell’autostrada mi era parso per anni come le miniature dei paesaggi dei trenini elettrici Lima. Casa, autostrada, lavoro, ritorno, casa, autostrada, lavoro, ritorno. Un giorno, chiamo l’ufficio: «Oggi non vengo». Una voce mi dice: «Prendi solo un giorno? Ma hai così tante ferie!». Riattacco. Riempio una sacca, formaggio, vino, acqua, pane, toscanelli e un grosso zaino. Al distributore del tredicesimo chilometro c’è un edificio a ridosso della macchia e da una maglia rotta nella rete si può uscire dal recinto autostradale; ci vado, parcheggio, entro in un mondo sconosciuto. Sensazione di fresco appena non ho più cemento e asfalto sotto i piedi: la terra conserva il fresco della notte. L’idea è quella di godermi il paesaggio da una prospettiva ribaltata. Mi siedo sotto un albero sulla galleria dei trenini elettrici e mi rilasso a guardare le auto passare veloci, da quella prospettiva di quiete. Negli abitacoli, gente al telefono, che litiga, che parla da sola, che sorride, che piange, che gesticola. Mi chiedo: «Ma sono anch’io come loro?». Nelle insufficienze dell’Avere si generano le discontinuità dell’Essere e gli inevitabili conflitti. Mi gusto le cose che ho portato, persino un po’ di caffè in un termos, poi mi accendo un toscanello e mi domando quale sia il senso di quella mia fuga. Nel sistema di contrappesi ed equivalenze di questo giorno, ho sottratto cose che apparivano essenziali per la mia vita. Che valore avrei dato alle variabili per trovare entro sera le nuove soluzioni al problema esistenziale? La lenta fumea azzurrina si porta via i pensieri, li disperde nel sole e in ogni forma di vita.
Scollinando il rilievo sovrastante l’alveo del fiume autostradale, uliveti, frutteti, una vigna, un vecchio querceto, un campo di grano, un rudere. Da lontano, il Tubenna silenzioso. Una terra promessa! Mentre noi ci logoriamo nelle prigioni delle città, la vita va avanti ed esiste tutto questo e resiste; senza di noi e malgrado noi. Il pomeriggio passa nel silenzio dell’adattamento a questa nuova velocità, fra un sigaro e l’altro. Scesa la notte, arrivo alla macchina e recupero lo zaino con il sacco a pelo; mi accampo e resto per un po’ a guardare un cielo pieno di stelle come non lo avevo mai visto. Il sonno mi prende alle spalle, senza avvisare. Nell’equazione oraria della mia esistenza, rimasto fermo lo spazio e rallentata la velocità, il tempo sembra essersi dilatato: mi risveglio a giorno fatto. Al bar della stazione di servizio cerco di lavarmi, faccio colazione e poi il pieno. Riparto! Chiamo di nuovo l’ufficio del personale: «Per un mese non torno». «Oooooohhhhh. Ora sì! E dove te ne vai di bello?» risponde Russo. Riattacco! Comincio a ridere a crepapelle. Mi dura circa due minuti. Alle 15,30 da Roma parte un aereo per Bamako. Laggiù c’è una ONG che sostengo da un po’ di tempo. Laggiù le ragioni dell’Avere contano poco. Si può riformulare l’equazione esistenziale a vantaggio dell’Essere.
22 luglio 2023 – © riproduzione riservata