Il rione Stella colpito due volte

[di Daiberto Petrone]

Alcuni eventi, molto diversi tra loro, vicini solo per ambito di luogo e di tempo, sembrano invece assumere valenza e significato comuni, rafforzandosi vicendevolmente quasi a voler sancire una più incisiva collocazione storica nella memoria collettiva.

Domenica 21 settembre: don Leandro lascia la parrocchia della Madonna del Carmine di rione Stella, che resterà, credo, indissolubilmente legata al suo nome;  giovanissimo parroco ha svolto il suo cammino pastorale con grande umanità e personalissimo stile, mai abbandonato, sia quando celebrava le funzioni in un garage condominiale sia quando, coronando il sogno di una operosa comunità, ha proseguito la propria missione nella modernissima struttura alla cui realizzazione ha dedicato gran parte delle sue energie, senza scoraggiarsi dinanzi alle numerose “porte chiuse”. Un gentiluomo, un educatore prima che un sacerdote, persona garbata e sensibile ha svolto il suo impegno pastorale senza clamori, contribuendo alla crescita non solo spirituale, ma anche civica della comunità parrocchiale, supplendo alla cronica assenza sul piano sociale e culturale di adeguati interventi della classe politica cittadina, da sempre interessata più ai voti dei parrocchiani che alle loro necessità.

Lunedì 22 settembre: altro evento ha segnato i giorni immediatamente seguenti il commiato di don Leandro e ha riguardato lo stesso rione Stella: l’esondazione del fiume Tusciano ed il dramma di tante incolpevoli vittime dell’irresponsabilità umana.

Ho partecipato alla cerimonia di insediamento del nuovo parroco presieduta dal Vescovo che si è svolta domenica 28 settembre in un clima molto teso e, forse, un poco ingeneroso nei confronti dell’incolpevole successore di don Leandro, mons. Marcello De Maio. Perché, mi chiedevo durante la celebrazione, questi due eventi così diversi tra loro continuavano ad intrecciarsi nella mia mente, quasi potessero avere qualcosa in comune, oltre all’ambito locale e temporale. Ma forse a ben vedere un legame ce l’hanno: un parroco molto amato costretto ad abbandonare la sua comunità da ottuse regole canoniche; cittadini vittime di un dissennato utilizzo del territorio sottoposto a profonde e definitive modificazioni del proprio assetto idrogeologico e forestale solo per rispondere all’iniqua legge del profitto. Entrambi gli eventi derivano dall’abbandono della centralità dell’uomo e della natura. Da una parte rigidi schemi canonici, regole scritte dagli uomini che ritengono di interpretare il messaggio evangelico e che sanciscono – contro ogni regola del buon Gesù – l’allontanamento del pastore dal proprio gregge; dall’altra, disastri annunciati, che continuano a chiamare “naturali” ancorché siano nella quasi totalità opera dell’uomo, conseguenza diretta dell’assenza di politiche del territorio, di adeguata sistemazione idrogeologica e forestale contrapposte all’eccessiva cementificazione ed alla assoluta mancanza di ordinaria manutenzione.

A ben vedere gli eventi che hanno riguardato gli abitanti del quartiere Stella, quasi sovrapponendosi alla fine di una mutevole estate, sono entrambi frutto dell’opera dell’uomo che, in un caso, nella veste dell’Autorità Ecclesiastica, ha smarrito la sapienza dei Padri ed applicato anacronistiche ed incomprensibili regole canoniche e, nell’altro, persiste nel tentativo di sovrapporre le regole del profitto a quelle della natura, salvo definire “disastri naturali” quelli che ha contribuito, in via pressoché esclusiva, a causare.

Daiberto Petrone

17 febbraio 2015 – © riproduzione riservata

Facebooktwittermail