Il taccuino | di Iole Palumbo
Chiusi delicatamente il taccuino, con estrema cura lo riposi nel cassetto della scrivania assicurandomi che il fiore appassito sulla copertina non urtasse il legno. Ricordavo il giorno in cui lo aveva comprato in quelle che oggi chiamano librerie indipendenti. Per me era solo la bottega di Genny, stava in un vicolo di Port’Alba, dove la luce penetrava unicamente a mezzogiorno. Di solito curava poco il suo aspetto e, se entravi, non accettava che andassi di fretta. Ti accoglieva sempre con un the, il tempo necessario a capire quale titolo consigliarti. Con me non aveva mai sbagliato, e da quando non aveva più alzato le serrande io leggevo, ma non con lo stesso gusto. La cosa più straordinaria era la sua collezione di taccuini, li selezionava personalmente e ne aveva di tutti i tipi, dimensioni, colori e argomenti. Impossibile resistere alla tentazione di prenderne uno tra le mani! Avevo perso il conto di quanti ne avessi comprati. Non erano mai stati un diario, non portavo mai il conto dei giorni figuriamoci se mai avessi potuto scrivere un diario! E non erano neanche uno zibaldone in quanto con la filosofia non ero mai andata troppo d’accordo. Ricorrevo al taccuino nei momenti di silenzio, quando non riuscivo a reggere il confronto con me stessa. In quei momenti non potevo mentire, l’unica cosa possibile era urlare i miei pensieri sul foglio. E ogni volta ringraziavo Genny per quel meraviglioso dono.
Oggi era andata proprio così. Non so da quanto tempo ero chiusa in casa completamente sola, ma alla mia età questa non era una condizione negativa. Amavo svegliarmi tardi, indugiare nel letto con i miei libri e cominciare la giornata quando pareva a me. Questa era libertà altro che clausura da quarantena! Purtroppo il mio frigo era vuoto e dovevo scendere per comprare qualcosa per sopravvivere. Mi acconciai alla meglio e indossai quegli orribili aggeggi che tutti sapevamo non ci avrebbero tutelato da niente. Ma queste erano le disposizioni di legge.
La strada era completamente deserta, in questi vicoli anche le forze dell’ordine erano costrette a fidarsi. Mario, il salumiere, mi aveva conservato la spesa e mentre la prendevo rigorosamente coi guanti, mi chiese di regalare qualcosa alla donna che era fuori. Gli lasciai una banconota, avrebbe scelto lei cosa le serviva. Ero terrorizzata al pensiero di fermarmi con qualcuno, a maggior ragione con una sconosciuta. Evitai accuratamente di passarle accanto quando uscii, ma la curiosità vinse la paura e le gettai un’occhiata veloce. Era molto anziana e si trascinava a fatica, ma stringeva con una vigoria non comune una borsa aperta. Me ne accorsi dai tendini delle mani che tiravano la pelle da cui erano scomparse le rughe. A quel punto non ho resistito, dovevo sapere cosa c’era all’interno. Allungai lo sguardo, spuntava un titolo, “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” e una copertina di cartone finemente addobbata che proteggeva una miriade di pagine scritte a mano, tutte disordinate.
Scrutai allora il viso, non potevo crederci, in barba a tutte le leggi abbracciai la mia Genny. Il suo sguardo era spento, non sapeva più chi fossi e mi scacciò via impaurita. Si aggiustò la mascherina e si allontanò, aveva dimenticato di prendere la sua spesa, il suo pensiero era tenere al sicuro il suo carico da una sconosciuta.
Iole Palumbo
30 maggio 2020 – © Riproduzione riservata