Il Terzo Piolo

[di Ernesto Giacomino]

Se la vita è fatta a scale, la politica peggio. Nella gerarchia degli interessi politici vige il “chiodo scaccia chiodo”, l’attrazione maggiore soppianta quella minore, si scende dalla giostrina ancora in moto per correre sull’altalena che si è appena liberata: papà spingi forte, buttami lassù.

Cosicché, ogni volta, l’approssimarsi della corsa alle Camere è una di quelle scosse sismiche di bassa gradazione e alta trasmissione: crepe sottili che partono da Roma e arrivano nelle amministrazioni periferiche a spaccare equilibri che si credevano rodati.

I primi effetti, a Battipaglia, li abbiamo visti un paio di settimane fa: a livello centrale s’era scritto Casini-Fini, nella realtà locale s’è letto Casini-grossi. Il pastone di centro non è attecchito in Consiglio Comunale, dove Motta e Mastrangelo si sono svestiti della casacca Fli e sono passati al Gruppo Misto pur di allontanare qualunque ipotesi di collaborazione con quell’Udc che appoggia il sindaco rivale. Il pareggio, nei fatti, di quello scollamento dai vertici iniziato proprio dai “casiniani” un paio d’anni orsono: allorquando – in controtendenza rispetto a quanto accadeva nel grosso delle altre periferie – i consiglieri scudocrociati scelsero di dare una mano esterna a Santomauro per fargli raggiungere quei numeri di maggioranza che non avrebbe mai potuto avere con i soli alleati di sinistra reduci dalla campagna elettorale.

E fu sera e fu mattina. L’evoluzione la conosciamo, l’Udc è stata ampiamente compensata del (presunto) sacrificio idealistico passando da frangia d’appoggio a prima forza politica della città. Tirandosi nella mischia, formalmente e ufficialmente, con tanto di tessera di partito, quel sindaco “moderno” che con la sinistra, piuttosto che sposarla, ci si limitava a trascorrere le giornate in una serena e pacifica convivenza. Un poì di beghe sul menu dei pasti, va’, o su chi dovesse buttare l’immondizia, o sul modo di stendere i panni (io li sgocciolo, tu no, vedi che scorre al piano di sotto) ma fondamentalmente un fidanzamento senza scossoni.

Eppure no, non serve nemmeno quello. L’amministrazione più ibrida del pianeta, che abbraccia dalla ex destra moderata (ora che è? “centro sbilanciato”?) a sinistra, passando per i dipietristi e i “civici” vecchi e nuovi, non sembra riuscire a trovare pace. Quell’Udc locale, la “forza politica de massa” che avrebbe dovuto traghettarci fino alle prossime amministrative, si sfalda sotto i diktat del Pierferdinando nazionale e passa da delizia a croce nei progetti di un sindaco già insonne di suo. L’appoggio si/no della candidatura a premier di Monti (chi non salta Berlusconi è–è), gli attacchi a un Barbato che pare sempre più pressato tra incudine e martello, le malviste esternazioni alla stampa del consigliere Campione, le repliche di questo o quel microgruppo interno: tutto oggi sa di un tormento poco sanabile, che travalica il dibattito politico per atterrare su un sospetto di tornaconto personale.
In realtà, stanca ripetercelo, è uno dei tanti effetti collaterali delle maggioranze incollate col do ut des, del patteggiamento sul male minore, dello “stiamo buoni se possiamo”. Una linea che può passare nei periodi di magra, di attendismo, quando l’impressione più ottimistica è che si provi a governare la città solo perché non si ha di meglio da fare; ma ora all’orizzonte ci sono le politiche, il primo premio, il periodico e succoso menu del grosso/grasso matrimonio italiano: che facciamo, ne usciamo senza bomboniera?

25 gennaio 2013 – © riproduzione riservata

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