Incerte notti

[di Ernesto Giacomino]

Al terzo posto c’è la Valle Aurina in Alto Adige, al secondo il golfo degli Orosei in Sardegna. Mi fermo, spiego: non sono i miei deliri da astinenza alcolica, semplicemente i gradini più bassi del podio dei luoghi più bui (nel senso di meno contaminati da inquinamento luminoso) d’Italia. Al primo posto, secondo dettagliate misurazioni scientifiche, dovrebbe trovarsi di diritto l’isola di Montecristo, nell’arcipelago toscano. Come si dice, però: il condizionale è d’obbligo. E quel “dovrebbe” ci sta tutto, perché è facile che l’orda di tecnici e scienziati addetti ai calcoli di luminosità sul suolo nazionale ignori che qua, proprio qua, a Battipaglia, esiste una zona che ha tutte le carte in regola per scalzare la classifica e conquistare il primato: la famigerata Provinciale 135, meglio conosciuta dai residenti come via Spineta.

Una strada che da sempre offre opportunità d’investimenti che manco Wall Street: non in titoli azionari ma sulle gambe di ciclisti e pedoni. Otto chilometri d’oscurità e carenza d’illuminazione pubblica, fatto salvo qualche sparuto lampione collocato perlopiù in prossimità dell’incrocio per Bellizzi o della rotonda per l’Aversana.

Per cui: poetico, da lì, alzare gli occhi al cielo e contemplare la volta stellata senza il disturbo di luci artificiali; un po’ meno camminarci a piedi o in sella a qualcosa di poco individuabile nel buio. Che la manutenzione, per carità, sarà pure a carico della Provincia, ma il disagio – notturno come diurno, atteso lo stato assolutamente migliorabile del manto stradale – è quasi tutto degli automobilisti cittadini.

Problema atavico, d’una drammaticità costante nel tempo: il che da un lato potrebbe addirittura consolare, ripetendoci quella solfa depotenziante del “sì, ma è stato sempre così”. Non fosse, però, che da qualche tempo la zona si è anche ripopolata dei viandanti serali e notturni dei bei tempi dell’accoglienza per i richiedenti asilo, che per gli spostamenti per le incombenze quotidiane hanno a disposizione solo le gambe e un lembo estremo di strada. O a volte, quando proprio gli gira di lusso, qualche ruota ammaccata di bicicletta.

Il rischio è enorme, lì. Non tutti possono permettersi un fanalino o un corpetto ad alta visibilità, spesso li si individua e schiva all’ultimo istante. E col passare dei giorni si moltiplicano le lamentele di automobilisti che approcciano con quel tratto di strada con più ansia di quando fecero l’esame di guida.

Che ok: magari la loro, quella dei pedoni, non sempre è conseguenza dell’indigenza. Per taluni sarà pure negligenza, distrazione, superficialità, boh. Oppure sarà che parecchi di loro sono ragazzi o anche meno, con l’incoscienza tipica di quell’età che non dipende da continente o etnia: gli imberbi nostrani, fidatevi, sono imprudenti uguale.

Oppure sarà che noi, da questa parte, vogliamo prendercela con loro per non pensare che sarebbe più pratica ed efficace un’attività di sensibilizzazione (e, per i più ostinati, di costrizione), abbinata a una spesa d’una manciata d’euro per qualche giubbotto catarifrangente in più.

Perché se è vero che le tragedie, purtroppo, sono gratuite, lo è altrettanto il motivo per cui le politiche di accoglienza stanziano fondi: spenderli per evitarle.

16 dicembre 2022 – © riproduzione riservata

Facebooktwittermail